Comacchio
20 Maggio 2018
La madre di Andrea Spezzacatena parla a giovani e insegnanti comacchiesi: "Da scuola e famiglie solo chiusura. Così non si favorisce la crescita culturale". Negare l'omofobia? "Ulteriore danno a vittime e carnefici"

Cyberbullismo, Teresa Manes resta in trincea: “Serve consapevolezza”

di Redazione | 3 min

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Comacchio. “Ho fatto cadere i sensi di colpa e cerco ora di trasmettere l’importanza della consapevolezza, la vera arma per scongiurare l’assuefazione da atteggiamenti che possono essere letali”. Sei anni senza Andrea Spezzacatena non hanno affievolito la dedizione di Teresa Manes, madre del giovane romano che si tolse la vita nel 2012 dopo una difficile convivenza con un contesto sociale e scolastico che vedeva bersaglio di continue scherni a sfondo omofobo.

Di bullismo e omofobia parla ancora Manes, portando nelle scuole la sua testimonianza forte, anche a Comacchio – come ospite della terza edizione del progetto ‘Libera dalle Mafie’ -, dove ha incontrato gli alunni adolescenti delle scuole del territorio.

“Ti muore un figlio e ti muore tutto” dice l’autrice del libro ‘Andrea oltre il pantalone rosa’, ricordando i momenti drammatici vissuti prima dal 15enne Andrea nel totale silenzio, poi da chi “se lo è ritrovato lì, impiccato ad una scala. Aveva già tentato di togliersi la vita, ma noi genitori non lo sapevamo”.

“Forse noi adulti dovremmo esserci di più – aggiunge rivolgendosi agli insegnanti presenti -, come pure la scuola dovrebbe tenere alto il suo ruolo. Nel nostro caso l’atteggiamento è stato di totale chiusura, da parte di una scuola che ha dimostrato di sottovalutare segnali importanti, assuefatta da certi comportamenti dati per scontati e nemmeno minimamente condannati. Questo mi fa male, perché così facendo non si arriva ad una crescita culturale: un atteggiamento collaborativo della scuola non mi avrebbe portato indietro mio figlio ma sarebbe comunque servito a qualcos’altro”.

Non solo la scuola: a lasciare da soli gli Spazzacatena anche le famiglie dei compagni di scuola di Andrea. “Non abbiamo ricevuto alcun sostegno, credo che lo spettro dell’omofobia emerso dalle indagini fosse un peso aggiunto per loro da poter condividere, un freno”. E sulle indagini, “che escludono omofobia e bullismo come fattori determinanti, posso capire l’inesistenza del primo per ragioni tecniche, ma come si può negare l’omofobia? Credo che questa forma di protezione aggiunga un ulteriore danno: non aiuta i responsabili a capire dove hanno sbagliato. Oggi, da ventenni, potrebbero essere pronti a rifarlo o a trasmettere ai loro figli insegnamenti sbagliati”.

“Ho sottovalutato dei segnali importanti – aggiunge Manes rispondendo anche alle curiosità dei ragazzi in sala -, nella mia disperazione ho deciso di entrare nel mondo di mio figlio per capire di più, di leggere le sue chat e dietro tante offese ho notato tantissima inconsapevolezza. Oggi ho messo da parte il senso di colpa e reagito, mi sento spinta da Andrea nel portare a voi questa testimonianza, convinta si tratti di una cosa necessaria e utile”.

Ai maggiori di 14 anni va l’invito di Teresa Manes a utilizzare gli strumenti di tutela messi a disposizione dalla legge sul cyberbullismo (la 71/2017): “Segnalate, per i responsabili è prevista quantomeno una ammonizione in questura. Non è tanto, la legge in questione è migliorabile sotto tanti punti di vista, ma resta un’iscrizione nel casellario giudiziale e le conseguenze del caso”.

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