20 Aprile 2018

Il non-mistero sull’incendio del tribunale di Ferrara

di Redazione | 6 min

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Anni fa mi recai in una biblioteca cittadina a consultare il “Corriere Padano” per una ricerca che stavo compiendo.

Notai con stupore che alcune pagine erano state strappate e ne chiesi conto al vecchio custode, il quale mi disse a mezza voce e dopo essersi assicurato che nessuno ci stesse ascoltando, che era stato “qualcuno” che, dopo aver cambiato bandiera, voleva eliminare le tracce della sua compromissione con il passato regime.

E un defunto presidente del Nastro Azzurro mi disse che alcuni concittadini gli avevano chiesto di cancellare il proprio nome dall'”Albo Eroico” pubblicato dall’associazione, in quanto risultavano decorati durante il regime e non desideravano che tale circostanza venisse ricordata…

Circa l’incendio degli archivi del nostro tribunale,dubito che nella Ferrara del 1947, ferreamente controllata dai comunisti, qualcuno potesse compiere impunemente un atto così grave.

E sicuramente il PCI di allora aveva tutti i mezzi per arrivare a conoscere una verità che non è mai emersa in modo univoco.

Perchè avvenne l’incendio?

Secondo un vecchio democristiano (che precisò “qui lo dico e qui lo nego”) l’incendio fu provocato non dai fascisti (che nel 1947 erano stati accoppati, erano fuggiti o se ne stavano rintanati in luoghi sicuri) ma da persone che – come nel caso del “Corriere Padano” sopra citato – non volevano che emergessero carte compromettenti per chi aveva “voltato la gabbana”.

Vero, falso? Non lo so. Ma di certo nessuno ha mai indagato a fondo su quell’incendio. E io mi chiedo : perchè?

Daniele Vecchi

 

Molti dubbi vengono dissipati dal fatto che l’incendio non fu nel 1947, bensì nell’aprile del ’45. Sulle ragioni, decisamente opposte a quelle che imprecisate persone le hanno – magari in buona fede – riferito, la rimando a un eloquente risposta del professor Oscar Ghesini di oltre 10 anni fa contenuta in CronacaComune.

mz

da CronacaComune del 13-07-2007

Circa le vicende del palazzo della Ragione, ho creduto opportuno inserire nell’articolo l’annotazione sull’incendio poiché, parlando del Palazzo con molti ferraresi, mi sono anzitutto accorto che si tende ad attribuire la causa della sua distruzione alle bombe cadute sulla città durante il conflitto. Non fu così: che si sia trattato di un incendio estraneo alle bombe infatti è cosa acclarata. Che poi il fuoco sia stato appiccato da mano fascista è tesi che la storiografia ferrarese ha ampiamente accreditato, basandosi su elementi indiziari (le segnalo, a proposito del sostegno a questa tesi, anche il recentissimo volume Emilia Romagna, Editalia, 2007, che alla voce ‘Ferrara’, curata per l’800 e il ‘900 da G. P. Testa recita “(…) Al posto del vecchio Tribunale, che era stato dato alle fiamme dai fascisti in fuga, fu costruito un palazzo che fece gridare allo scandalo Bruno Zevi, il quale affermò che era stata deturpata una delle più belle piazze d’Italia (…)”. È la ricostruzione piacentiniana, come sappiamo).
Perché basandosi su elementi indiziari? Per le circostanze in cui il Palazzo bruciò: nella notte fra il 22 ed il 23 Aprile 1945, quando la città era ancora controllata dai repubblichini, ma questi erano ormai in procinto di abbandonarla: poche ore dopo infatti, già lo si sapeva, Ferrara sarebbe stata raggiunta dalle truppe alleate.
Le cito, per ricostruire il clima di quelle ore a mio parere decisivo per comprendere la vicenda, brani di un articolo che il Corriere del Mattino pubblicò un anno dopo quegli avvenimenti, ricostruendo la cronaca degli ultimi giorni della liberazione di Ferrara (l’articolo, che restringiamo alle ultime ore, è riportato nel volume di A. Balboni, E. Bonetti, G. Menarini, Repubblica Sociale Italiana e Resistenza, Ferrara, 1943-45, Ferrara, Politeia, 1990): “Qualche macchina veloce che transitava per piazza e imboccava il viale Cavour, ma né carri armati né uomini di truppa (…) Si era sparsa fino dal venerdì [20 Aprile] la voce che l’Arcivescovo fosse a contatto col Comando degli Alleati e gli ottimisti assicuravano che Ferrara sarebbe stata risparmiata (…). Invece, alla domenica (22 Aprile) nulla di nuovo: granate, granate, quelle sempre più numerose, e sempre più squallido e deserto il volto della città (…). I partigiani erano entrati in azione e combattimenti si erano accesi qua e là (…). E Ferrara era veramente in fiamme; un misterioso incendio appiccato al Tribunale proprio nelle ultime ore prima della liberazione (…). Alle prime luci, silenzio completo attorno a Ferrara. È lunedì (23 aprile). La piazza comincia ad animarsi. Il portone del Palazzo Arcivescovile è chiuso, ma la vita all’interno è intensa (…). Finalmente arriva al Palazzo [arcivescovile] il Parroco di Santa Maria in Vado. Porta notizie fresche dal… fronte. Lui no, ma i suoi parrocchiani hanno visto coi loro occhi i negri nel piazzale di San Giorgio. Allora tutto è finito! (…) Sotto il volto del Cavallo stazionano i partigiani. Il Castello si è animato. Il CLN prende possesso della città (…). Sparano, sparano in direzione del Montagnone. Ma sono veramente gli ultimi fuochi (…). Gli alleati erano entrati in città attraverso una passerella gettata sull’acqua del Volano, sostenuta da galleggianti ed avevano sfilato per Porta Romana, XX Settembre, Carlo Mayr (…)”.
Cosa ci racconta, questa cronaca? Che i repubblichini, quando il Palazzo brucia, hanno ancora in mano la città (non i tedeschi, che avevano abbandonato il loro comando generale nel Castello e la città tra il 20 ed il 21, ndr), benché sparute pattuglie partigiane siano già entrate in azione; esse non sembrano però così organizzate da farcele considerare in grado di promuovere un’azione tanto eclatante, nel cuore del centro cittadino, come il dare alle fiamme il Tribunale. Nell’articolo si parla anche, espressamente, di un incendio ‘appiccato’, perciò non provocato da granate bensì dall’uomo.
Chiediamoci ora: chi aveva interesse ad appiccare l’incendio? I fascisti, evidentemente: essendo la sede del Tribunale, il Palazzo della Ragione conservava infatti l’archivio delle sentenze comminate dai tribunali durante il ventennio anche per i reati politici, che venivano emesse dal Tribunale Speciale. Ed è comprensibile che molti, penso a coloro che avevano firmato le sentenze, avessero quindi interesse a cancellare il loro nome da quegli atti, nella speranza di alleggerire la loro posizione di fronte ai prossimi vincitori.
Si potrebbe obiettare: perché non pensare a mani incendiarie dei partigiani? Per almeno tre motivi, direi: anzitutto, perché essi avrebbero avuto interesse a mettere le mani su quegli archivi, non a distruggerli; in secondo luogo, perché da giorni i manifesti del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, pur incitando alla sollevazione, invitavano la popolazione ferrarese ad evitare atti di saccheggio a danno di caserme, ospedali, enti pubblici, magazzini; necessari, come allora si scriveva, “per la ricostruzione del domani”. In terzo luogo, per la loro disorganizzazione militare, come già abbiamo osservato, e dunque per la loro scarsa capacità di azione in città.
Al clima di incertezza di quelle ore, peraltro, e alla possibilità che tra i partigiani nelle ultime ore di guerra si nascondessero addirittura collaborazionisti fascisti, ci riporta quest’ultimo documento, con il quale mi voglio congedare da Lei: si tratta di una Relazione ai compagni della Federazione comunista di Ravenna sulla situazione della città di Ferrara e Provincia al 26 Aprile 1946, terzo giorno della liberazione (si trova in A. M. Quarzi, D. Tromboni, La Resistenza a Ferrara, 1943-1945): “(…) L’intervento complessivo delle formazioni di Patriotti non è stata rilevante, specialmente per l’impossibilità di utilizzare le forze distaccate in Provincia, e ciò a causa della disorganizzazione indotta dai bombardamenti massivi di certi paesi (…) ed il movimento delle truppe tedesche in ritirata. In città pertanto l’azione ha assunto caratteri di improvvisazione, con intervento di molti elementi incontrati, che sono affluiti all’ultimo momento e fra i quali non si esclude possano essere stati individui di dubbia fede (…). Firmato: La Federazione Ferrarese del Partito Comunista Italiano”. Ecco, se davvero forze ‘partigiane’ avessero appiccato l’incendio al Tribunale, a me pare che quelle mani non potrebbero appartenere ad altri che a individui ‘di dubbia fede’.
Cordiali saluti
Oscar Ghesini

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