Economia e Lavoro
10 Aprile 2018
Giannattasio: "Dobbiamo capire tre cose: dove vado, contro chi competo e su quale scommessa voglio generare il mio futuro"

Ferrara al bivio: o quartiere del buon vivere o città dormitorio

di Redazione | 5 min

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“Se i responsabili della riforma del mercato del lavoro fossero atleti dovrebbero davvero essere squalificati a vita [per doping] visti i risultati che ci hanno presentato oggi. Questi dati non ci consegnano molto ottimismo: o assumiamo un livello di consapevolezza utile a proporre cose positive per il territorio in termini di progettualità o diversamente anche la fotografia dell’andamento demografico sembra consegnarci un futuro non roseo”. Scherza amaro, il segretario della Cgil Cristiano Zagatti, alla fine dell’esposizione dei dati sull’economia ferrarese elaborati dall’Ires ed esposti alla Camera di Commercio.

Del resto c’è molto poco da sorridere, con l’unico dibattito che potrebbe resistere a una discussione più lunga di due frasi che si incentrerebbe sul se a Ferrara, economicamente parlando, si stia come l’anno scorso o un po’ peggio. Ne è cosciente anche Mauro Giannattasio, segretario generale della CamCom, al quale Zagatti affida il primo intervento dopo quella semplice considerazione.

Giannattasio esaurisce i convenevoli nel giro di pochi secondi, rimane calmo nell’esposizione ma è infastidito dall’immobilismo e lo fa notare con un discorso che, chissà quanto involontariamente, è uno schiaffo totale alla politica. Per prima cosa spiega il senso dei dati, indispensabili ma insufficienti a generare politiche, e mette in guardia dal loro utilizzo campanilistico: “Sul 2016 avete sentito di un’internazionalizzazione ferrarese con un bel segno meno, ma in ripresa nel 2017. Apro una parentesi, per farvi capire come i dati vadano interpretati e letti: a Ferrara, soprattutto in alcuni ambiti, il segno più o meno è dato da due, tre, quattro imprese”.

Viene poi l’attacco alla crescita a sprazzi e alle nozioni ombelicali di eccellenze perché “sostenibilità non vuol dire solo ambiente, vuol dire anche generare politiche di inclusione sociale. Un territorio che cresce a chiazze, a pezzi, che vive di eccellenze ma non diffuse è un territorio che non si sviluppa. Un territorio affinché possa crescere deve necessariamente irradiarsi. Assistiamo a una piccola ripresa ma che non ha inciso e non incide sulle disuguaglianze generate dalla crisi, in particolare sulle donne e sui giovani ma anche quelle fasce che vanno dai 50 ai 60 anni. Si parla sempre dei giovani, ma non sono solo i giovani a soffrire in questo Paese”.

Fin qui sono dure considerazioni. Il problema, però, sta nella mancanza di un qualsivoglia orizzonte da raggiungere. “Come fa un territorio a generare politiche di crescita e di sviluppo? Intanto stabilendo su quali competenze strategiche intende puntare, e il Patto per il lavoro deve andare in questa direzione. La capacità di un territorio di reinventarsi ciclicamente non è negativa, ma a condizione che ci sia davvero il coraggio di fare selezione: poche priorità condivise e sostenibili. Il nostro territorio su quale competenze strategiche punta: turismo, manifatturiero, commercio, terziario avanzato, trasversalità, contaminazione tra settori? Dobbiamo dircelo, non possiamo pensare di avere tutto così come non dobbiamo pensare di non avere nulla. Ferrara ha le sue carte ma quelle tre o quattro vanno condivise da tutti. Perché il compito non finisce individuando la competenza. Fatto questo dobbiamo capire tre cose: dove vado, contro chi competo e su quale scommessa voglio generare il mio futuro”, continua il segretario della Camera di Commercio che parla senza mezzi termini di “una pigrizia delle idee. L’innovazione muove tutto, e la creatività è il suo motore principale. Con la creatività si possono anche creare politiche a costo zero che includano, che mirino alla crescita”.

Se fosse urlato da un palco, quello di Giannattasio potrebbe essere interpretato come un manifesto politico, espresso a mezza voce dal microfono della sua istituzione suona come un incrocio tra un monito e un appello alla politica. Qualsiasi cosa sia, però, è destinata a cadere fondamentalmente nel vuoto.

Tocca al vicesindaco Massimo Maisto rispondergli. La sua ventina di minuti è tutta sulla difensiva: non è lui a dettare le politiche economiche della città, ancora meno quelle territoriali.

“Il nostro compito è quello di essere ottimisti”, dice, “ma non per essere scemi”, quanto piuttosto perché i cittadini “se ne fanno poco degli amministratori se dobbiamo raccontargli solo cosa va male”. Ricorda che ai politici è chiesta una visione, “trovare soluzioni diverse da quelle che impone la quotidianità”, ma subito si affretta a far notare che “sono dati complicati” perché a parlare del ferrarese “per certi versi si parla di tre province” e quindi in contesto diversificato “è utile che ognuno di noi cali questi dati nel proprio specifico territorio”.

E  a corredo del quadro presentato sottolinea tre cose: “il territorio frammentato che sappiamo; la paura — ma direi anche il terrore — di questo territorio delle innovazioni, che forse spiega anche le difficoltà sul lavoro giovanile, straniero, delle donne e di tutte le categorie più fragile; e la demografia. Se siamo d’accordo che questi sono i tre aspetti principali ma non gli unici problemi — ci sono quelli delle infrastrutture, della legalità —, credo sia su questo che si debba intervenire, in modo che poi avremo tutti gli strumenti sulle singole questioni, e quindi se decidiamo di puntare sul turismo  lo incentiveremo e via discorrendo”.

Maisto segnala anche altre due questioni “compresi i nostri limiti, non siamo qui a fare spot”, ovvero “la lentezza della politica nel prendere decisioni ormai ingiustificabile che rende difficoltoso aggredire i problemi e un problema di burocrazia”. I temi, ricorda, “sono tanti”, poi sposa la teoria di Giannattassio: “poche scelte e coerenti. Non è facile, non lo è mai, ma in un territorio frammentato è ancora più difficile inserire quella che è la singola priorità”.

“Non sono entrato sulle azioni perché prima serve la condivisione dei problemi”, conclude poi. “In un mondo che cambia così velocemente, in un piccolo quartierino della megalopoli della Padania, Ferrara ha di fronte una possibilità e un rischio: se superiamo le nostre debolezze, Ferrara può essere un quartiere del buon vivere in questa megalopoli, il che vuol dire avere servizi, cultura, ambiente, buone scuole, welfare e lavoro; l’alternativa è diventare un quartiere dormitorio. Si può migliorare la mobilità e i trasporti per andare a lavorare più velocemente a Bologna e a Modena ma significa rinunciare al welfare, agli asili nido, al rispetto per gli anziani e allo sport e alla cultura che ci stanno a cuore. Abbiamo una grande opportunità, ma demografia e burocrazia devono essere risolti”.

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