Vigarano
14 Marzo 2018
Il pm fa appello contro la sentenza di assoluzione per Mauro Fabbri che pagò per far uccidere Lucia Panigalli

Soldi al compagno di carcere per uccidere la ex. La procura appella: “Non fu solo istigazione”

di Daniele Oppo | 4 min

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Quella di Mauro Fabbri non fu una mera istigazione ad uccidere la propria ex compagna, ma una condotta giunta fino alla soglia del tentativo punibile. E questo sia che il suoi presunti complici avessero davvero accettato il mandato omicidiario, sia che glielo avessero solo fatto credere. Per questo andrebbe condannato. È, in estrema sintesi, quanto la procura di Ferrara, tramite il pm Barbara Cavallo, indica alla Corte d’Appello nel motivare la richiesta di rivedere il giudizio del gup nei confronti di Fabbri e Stanev Radostin Radev per il tentato omicidio di Lucia Panigalli.

I due erano stati mandati assolti in rito abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare perché, nonostante fosse provata, l’esistenza dell’accordo e dunque l’istigazione a commettere l’atroce reato, questa, secondo il giudice, non era stata accolta da Stanyo Dobrev, padre di Stanev e compagno di carcere di Fabbri (oggi in cella in Ungheria e che verrà giudicato probabilmente a giugno in separato giudizio). Anzi, Dobrev in qualche modo lo avrebbe ingannato facendogli credere di essere il punto di raccordo con uno o più sicari, facendosi così dare dei soldi e un trattore per il servizio. Insomma, una farsa a cui avrebbe creduto solo Fabbri, autore così di un “quasi delitto”, fattispecie non punibile penalmente, ma sufficiente per applicare una misura di sicurezza per l’istigatore, cosa che infatti il giudice fece con la sentenza (con la libertà vigilata quando Fabbri finirà di scontare la pena precedente).

Sentenza che provocò anche un certo clamore mediatico e la decisione della signora Panigalli – che già nel 2010 fu vittima di un tentativo di omicidio da parte di Fabbri – di combattere per riottenere almeno un po’ della serenità perduta, aiutata in questo dai suoi avvocati, Eugenio Gallerani e Giacomo Forlani.

La procura estense – che aveva chiesto due condanne fino a 12 anni di reclusione – non concorda affatto con la decisione del giudice di prime cure, non solo nella qualificazione del reato ma anche nella ricostruzione dei fatti.

Innanzitutto la pm Cavallo sostiene che la condotta di Fabbri non si sia fermata alla mera istigazione, bensì sia andata più in là nella pianificazione dell’omicidio (nonché dell’occultamento del cadavere), nell’indicazione delle caratteristiche di vita della signora Panigalli, nella descrizione dei luoghi e, soprattutto, nel pagamento (25mila euro più un trattore consegnati e la promessa di altri 25mila euro) e, dunque, nella fornitura di mezzi per compiere il reato. “Tali atti sono consistiti quantomeno nell’effettiva corresponsione di beni e di somme di denaro all’intermediario, al fine non solo di remunerare l’attività delittuosa, ma di procurare le risorse necessarie alla realizzazione dell’obiettivo”, scrive il pm che ritiene, a differenza del gup, che Fabbri “abbia oltrepassato i limiti del semplice mandato, trasmodato in atti materiali concretamente e tangibilmente diversi dalla sola istigazione”. Per questo, l’imputato sarebbe comunque punibile, anche in via autonoma, anche se si riconoscesse l’assenza di responsabilità di Dobrev e del figlio Radev.

Cosa che però il pm non fa, ritenendo anzi che il giudice abbia valutato erroneamente le prove, tralasciando atti d’indagine che dimostrerebbero come, in concreto, Stanev si attivò per effettuare uno dei sopralluoghi concordati per pianificare l’omicidio. Il riferimento specifico è a quanto avvenuto il 26 gennaio 2016, quando il cellulare di Radev – che quel giorno si recò a Bondeno per farsi consegnare il trattore da una familiare di Fabbri – agganciò la cella telefonica posta a poche centinaia di metri dall’abitazione della signora Panigalli, deviando così dall’itinerario considerato normale per andare da Forlì a Bondeno, dove avvenne la consegna del veicolo. Per la procura non una coincidenza: quella deviazione sarebbe la prova del sopralluogo, corroborata anche dalle intercettazioni tra Dobrev e Fabbri – che inizialmente chiedeva che venisse ucciso anche il figlio della Panigalli, poi cambiò idea – ma anche della corrispondenza tra Dobrev e sua moglie in cui, dai dettagli descrittivi dell’esatta ubicazione dell’abitazione, sembra intendersi che il sopralluogo sia stato effettivamente operato.

Infine, la procura non crede affatto che Dobrev volesse ingannare Fabbri. Non ritiene insomma che la ‘confessione’ che l’uomo rese agli inquirenti fosse una dimostrazione del fatto che non avrebbe mai dato corso all’omicidio. Secondo il pm, invece, “è chiaro, che – a fronte del “silenzio” degli inquirenti e della mancala percezione dei benefìci richiesti -, Dobrev abbia agito ritenendo concluse le indagini, senza avere alcun timore di possibili controlli sia in ordine all’omicidio, sia rispetto alle somme di denaro o ai beni poi ricevuti dal Fabbri”. Anche perché, si chiede il pm, se non avesse davvero accolto l’istigazione, perché far effettuare un sopralluogo?

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