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11 Marzo 2018
Una delle figure di spicco dell'arte italiana fra Otto e Novecento, nel momento di passaggio dal verismo al simbolismo

Mentessi, artista di sentimento

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Giuseppe Mentessi ha fatto di quasi ciascuna delle sue opere
un inno all’amore, al dolore, alla pietà. Egli è dunque in
ispecie artista di sentimento, non dimenticando però mai di
dover essere, innanzi tutto, pittore.
Vittorio Pica, 1903

Fino al 10 giugno 2018, la Pinacoteca Nazionale di Ferrara in Palazzo dei Diamanti celebra Giuseppe Mentessi (1857 – 1931) una delle figure di spicco dell’arte italiana fra Otto e Novecento, nel momento di passaggio dal verismo al simbolismo.
L’esposizione, curata da Marcello Toffanello, organizzata dalle Gallerie Estensi in collaborazione con AssiCoop Modena & Ferrara, UnipolSai Assicurazioni e Legacoop Estense, affronta il tema dell’espressione dei sentimenti in pittura tra il 1890 e il 1909, coincidente con il periodo centrale e più significativo dell’attività dell’artista ferrarese.
L’iniziativa presenta una selezione di opere di Giuseppe Mentessi proveniente dalla collezione di AssiCoop, oltre a una scelta di disegni delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara.
L’opera di Mentessi e degli artisti attivi alla fine Ottocento in Italia permette di confermare un’ipotesi circa le arti visive e la letteratura: nella seconda metà del secolo è preminente l’intenzione di realizzare un progetto di società dei profitti e dei consumi. La meditazione ragionevole di W. Morris verteva allora sulla perdita nell’età della meccanizzazione dell’istinto per la bellezza e del carattere popolare dell’arte e giungeva a formulare un progetto di pacifica reintegrazione sociale. Su un’altra latitudine Van Gogh confidava alla sorella di sentire “il bisogno di andare a guardare un filo d’erba, un ramo di pino…Che si può fare d’altro, pensando ad una cosa di cui non si capisce la ragione, che mettersi a guardare i campi di grano? La loro storia è la nostra…”.
Gli artisti italiani in quei medesimi anni e almeno per tutto il primo decennio del Novecento non ignorano questi temi; non fanno eccezione i ferraresi Previati e Mentessi, legati come essi sono ad una situazione sociale originaria di sottosviluppo agricolo. Deve essere stata memorabile la miseria della madre del pittore, contadina e analfabeta, dello stesso artista negli anni dell’infanzia trascorsa nella bassa ferrarese e nei successivi anni di studio.
Il quadro politico geografico era quello determinatosi dopo l’annessione del ’60, che aveva creato nuovi equilibri e nuovi scompensi, accompagnati da una forte emigrazione dal Veneto e dalla Romagna, tale da ripopolare una città deserta e metafisica, abitata nel 1598 da 30.448 persone contro le 23.500 del 1861, e una campagna malarica e abbandonata. Intervenne in queste condizioni uno dei maggiori fenomeni di speculazione nella storia della regione con l’acquisto dei terreni comunali da parte dei consorzi e delle società di bonifica. Uno dei quadri più moderni di Mentessi si riferisce a questo clima di vita contadina: Panem nostrum quotidianum è un’immagine profondamente drammatica, non retorica, persino verista nella sua evidenza di tema quasi biografico, di una madre con il figlio in mezzo ad un sovrastante campo di granoturco.
Questa sorta di realismo autenticato sulle cose della terra può essere anzi considerato l’aspetto più interessante e singolare del suo lavoro, quando nella produzione iniziale viene tradotto in termini grafici e pittorici evidenti per densità di corpo e precisione analitica. Per queste opere uniche e piuttosto rare non è quindi azzardato parlare di realismo sentito quale margine raggiunto da Mentessi, un vertice poi irrimediabilmente dimenticato. Ma vi si intreccia una seconda componente, quella romantico – umanitaria, previatiano – divisionista, sulla quale occorre riflettere prima di considerare come si svolse e perdurò un ideale decadente di natura poetizzata, come le preoccupazioni sociali proprie di un socialismo umanitario siano state piegate ad una nozione sentimentale e borghese della vita. In ogni caso si può credere che l’artista abbia sviluppato il proprio discorso sempre in una dimensione ottocentesca dell’operare artistico e in una identificazione fra estetica ed esistenza tipicamente italiana, almeno fino alla rivolta futurista che tradusse tali simbiosi in termini di contemporaneità eversiva e innovatrice.
Esemplare in tal senso è il dipinto Visione triste, proveniente dalla Galleria Ca’Pesaro di Venezia, proprio accanto al bozzetto inedito a pastello, a grandezza naturale e di una selezione significativa della lunga serie di disegni eseguiti dall’artista nella preparazione dell’opera. La grande tempera a tecnica mista, esposta alla Biennale veneziana del 1899 e premiata con una medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi nel 1900, segna il passaggio di Mentessi da una rappresentazione naturalistica della realtà alla sua trasfigurazione in termini simbolici. Concepito inizialmente come opera di denuncia della condizione contadina nella Pianura Padana, resa tragica dalla diffusione della pellagra, nel corso della sua elaborazione il dipinto assume forma di un’allegoria religiosa, un calvario contadino. Il grande bozzetto che in quest’occasione si presenta per la prima volta al pubblico rappresenta l’anello di congiunzione fra gli studi condotti a matita dal vero su modelli e la loro trasposizione in pittura secondo una personale interpretazione del divisionismo che porta l’artista ferrarese a stendere colore in lunghi filamenti.
Altre due opere definiscono i termini dell’adesione di Mentessi alle tematiche del realismo sociale. Ora triste, di cui sono esposti in mostra due disegni e il bozzetto a olio delle Gallerie d’Arte Moderna di Ferrara, fu presentata alla prima Triennale di Brera a Milano nel 1891. Una malinconica intonazione azzurrina accentua l’ispirazione sentimentale del dipinto, che fu salutato dalla critica progressista come un superamento del brutale realismo verista fino allora imperante.
Vent’anni più tardi, mutato ormai il clima artistico, Ramingo, conservato al MASI – Museo d’Arte della Svizzera italiana di Lugano, esposto alla Biennale del 1909 chiude la fase felice e innovativa dell’opera di Mentessi. Il confronto con il bozzetto proveniente dalle collezioni ferraresi della Banca Popolare dell’Emilia Romagna rivela come, anche in questo caso, il dialogo silenzioso fra il povero pellegrino e il Cristo sofferente sia frutto di un ripensamento in chiave simbolica e religiosa di una prima idea per l’opera, raffigurante una madre col bambino. I disegni per le due figure principali del dipinto, gli studi per lo sfondo architettonico – paragonabile a una quinta scenografica barocca – e le incisioni con cui Mentessi rielabora alcune delle sue opere più celebri, rivelano il saldo possesso degli “strumenti del mestiere” frutto di una solida formazione accademica e di decenni di insegnamento dei fondamenti del disegno, della prospettiva e del paesaggio.
La mostra si chiude con una selezione di disegni, di abbozzi su fogli di fortuna e studi dettagliati pronti per essere riportati sulla tela, testimonianze di una felice attività artistica quotidiana praticata da Mentessi fin negli ultimi giorni di vita.

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