di Martin Miraglia
È stato presentato lunedì mattina nella sala degli Arazzi il progetto pilota — almeno per quanto riguarda l’Emilia-Romagna — che vedrà Comune, garanti dei detenuti, amministrazione penitenziaria e l’associazione Jonas (“associazione fondata nel 2003 e composta prevalentemente da psicologi e psicoterapeuti che punta sul sociale, con la nostra attenzione puntata sui margini della società”, per dirla con le parole della coordinatrice del progetto Claudia Tinti) al fianco del personale della struttura carceraria al fine di migliorare la qualità della loro vita lavorativa con incontri incentrati al dialogo, alla riflessione e alla crescita personale.
Il progetto, intitolato ‘Benessere sul luogo di lavoro per il personale operante nella Casa circondariale di Ferrara’ e che prenderà il via il 13 febbraio e che andrà avanti fino all’estate, vedrà operatori dell’associazione Jonas scelti tra coloro che avevano esperienze pregresse di lavoro nel mondo carcerario, organizzare incontri quindicinali sulla specificità del lavoro in carcere rivolti sia agli agenti di polizia penitenziaria che agli altri lavoratori della casa circondariale come medici e funzionari, la creazione di ‘gruppi di parola’ mensili di composizione mista per incentivare il dialogo e di un’eventuale costituzione di un rapporto diretto tra gli operatori della struttura e gli psicoterapeuti.
“Questo progetto per noi è fondamentale: l’agente di polizia penitenziaria è il maggior contenitore delle ansie del detenuto, ne sono coinvolta io stessa che faccio spesso colloqui”, ha commentato la comandante del reparto di polizia penitenziaria del carcere ferrarese Annalisa Gadaleta, aggiungendo poi che “questa componente, a cui va aggiunto il lavoro in un ambiente chiuso, buio e in cui i suoi rimbombano crea una maggior propensione al burnout. Questo è un progetto richiesto da qualche anno e fortemente voluto”.
“Credo che questa idea che viene da Ferrara possa essere sperimentata anche altrove”, ha detto invece il garante regionale per i detenuti Marcello Marighelli, secondo cui il disagio in carcere “si concretizza nell’esposizione a tutte le contraddizioni del sistema carcerario che si scaricano su chi opera all’interno della struttura: spesso quelle persone sono gli unici interlocutori della popolazione carceraria”. Concetti questi ripresi anche dalla garante comunale dei detenuti, Stefania Carnevale, che ha sottolineato l’importanza per gli agenti di poter partecipare al progetto in orario lavorativo, permettendo di “concretizzare esigenze più volte espresse dal personale interno alla struttura durante le numerose visite alla struttura. L’idea è stata quindi raccolta con grande convinzione dai vertici operativi del penitenziario e dall’Amministrazione comunale che ha subito sostenuto l’operazione”.
Di preziosità del progetto parla invece la responsabile di Firenze dell’associazione Claudia Tinti, secondo la quale “ci sono le premesse per un bellissimo incontro tra istituzioni. Crediamo a questo progetto a cui partecipiamo sia con la nostra presenza che col nostro piccolo finanziamento — di 2mila euro e che si somma a un contributo del garante regionale dei detenuti e ai finanziamenti di Comune e Regione, ndr —. Abbiamo messo a disposizione operatori da tutta Italia. È una scommessa che ha fondamenta solide grazie all’attenzione che abbiamo trovato dalle istituzioni”. Istituzioni che, rappresentate dall’assessore ai servizi sociali di Ferrara Chiara Sapigni, spiegano come “avere attenzione vuol dire interessarsi dei problemi. Vogliamo portare il carcere in città e essere noi in carcere. Se questo progetto avrà esito positivo ci interesserebbe anche una componente dedicata ai detenuti che speriamo di coinvolgere, perché riempire il tempo in modo positivo per i detenuti è fondamentale”.
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