Cronaca
26 Gennaio 2018
La corte d'appello ribalta il verdetto del primo grado e 'condanna' moralmente l'ex parroco di Quacchio

I giudici non credono al don, 41enne assolto dall’accusa di averlo rapinato

di Daniele Oppo | 2 min

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Una sentenza che assolve l’imputato dall’accusa di rapina ma che condanna, almeno moralmente, la parte offesa: l’ex parroco di Quacchio, oggi deceduto.

È il pronunciamento dei giudici della Corte d’Appello di Bologna in merito a un fatto avvenuto nell’agosto 2011. Secondo l’accusa – che portò a una pesante condanna in primo grado, 4 anni e mezzo di reclusione per un uomo di 41 anni, difeso dall’avvocato Daniele Borgia – il parroco sarebbe stato rapinato di 200 euro, dopo essere stato minacciato con un coltello a serramanico (peraltro di sua proprietà) puntato al petto. A conferma, il prete aveva anche prodotto un sms spedito dal rapinatore in persona, in cui il fatto veniva ammesso nero su bianco.

Secondo la parte offesa era il suo modo evitare la denuncia, una promessa alla restituzione dell’importo in cambio del perdono. Importo piccolo peraltro: secondo il sacerdote tra il 2008 e il 2014 si sarebbe prodigato per prestare al suo rapinatore – che lo assillava con richieste d’aiuto – circa 60-70mila euro anche con varie denunce al seguito, tutte finite però in una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste.

Una versione che ha convinto senza ombra di dubbio il tribunale di Ferrara, ma che ha lasciato più di un’ombra in quelli dell’appello che, infatti, hanno ribaltato la sentenza mandando assolto l’imputato “perché il fatto non sussiste”.

Di più, i giudici felsinei si sono espressi con parole accusatorie – almeno moralmente – verso il parroco, sostenendo da una parte la perplessità sul possesso e la presenza sul tavolo del prete di un coltello a serramanico aperto, poi che fossero illogiche le spiegazioni sull’invio dell’sms, ritenendo che fosse, anziché la prova di una volontà di perdono condizionato, “una forma di garanzia “atipica” e leggermente “estorsiva”, a fronte dell’ennesimo prestito accordato”. Ma soprattutto, si legge nella sentenza, “desta perplessità e lumeggia negativamente la personalità della parte civile, anche la circostanza che egli, pur avendo fatto “voto di povertà”, sia stato in grado di mutuare nel corso di pochi anni, la rilevante somma di euro 70.000”.

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