(archivio)
Un’omelia nel segno della comunione fra popoli e della solidarietà per chi fugge dalle guerre, quella che il vescovo Gian Carlo Perego ha pronunciato nel primo giorno nel nuovo anno, dal 1968 dedicato, per volere di Paolo VI, a una Giornata mondiale per la pace.
Monsignor Perego, in cattedrale, ha voluto raccogliere l’invito di Papa Francesco di abbracciare “tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale”, spiegando che anche a Ferrara e provincia “ne sono presenti circa 1300, accolti dai Comuni, ma anche da associazioni, cooperative, comunità parrocchiali”. “Sono loro che, per primi – ha detto il vescovo – ci ricordano come la pace, come assenza di guerra, come disarmo è ancora un compito politico e sociale importante nel mondo, che chiede l’impegno dei cristiani. Sono loro, anche che ci ricordano il dovere dell’accoglienza come luogo per tutelare persone in fuga, uomini e donne, giovani e bambini attraverso una forma sempre rinnovata di protezione internazionale, che restituisca dignità, vita, casa, scuola e lavoro a chi lo ha perso sotto le bombe anche nostre, per lo sfruttamento della terra, per la mancanza della libertà politica o religiosa, per la violenza e lo sfruttamento”.
Perego ha esortato a “prendere per mano queste persone”, che in Italia provengono da almeno 70 nazionalità diverse, “perché siano protetti da chi vede in loro manodopera a basso prezzo, corrieri per la droga, gente comunque da sfruttare, e per aiutarli, invece, in un difficile momento della loro vita a ritrovare autonomia, libertà, fiducia e pace”. ““Accogliere l’altro – scrive Papa Francesco nel Messaggio di quest’anno – richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate”. Al tempo stesso, però – aggiunge il vescovo – siamo chiamati a scoprire che essi non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio, capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono. Siamo chiamati a saper “scorgere anche la creatività, la tenacia e lo spirito di sacrificio di innumerevoli persone, famiglie e comunità che in tutte le parti del mondo aprono la porta e il cuore a migranti e rifugiati, anche dove le risorse non sono abbondanti”, coniugando quattro verbi: accogliere, tutelare, promuovere e integrare”.
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