Eventi e cultura
14 Dicembre 2017
Recensione. L'autore ferrarese è uscito con il suo primo romanzo, edito da La nave di Teseo

Il trapezista, un salto nella vita di Marco Gulinelli

di Marco Zavagli | 4 min

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Oltre cento persone al corteo organizzato dal centro sociale La Resistenza. Dal parco Coletta a piazza Castello studenti e lavoratori di ogni età hanno intonato insieme “Bella Ciao” e altri canti antifascisti.

Da trapezio a a trapezio, nel silenzio dopo
dopo un rullo di tamburo di colpo muto, attraverso
attraverso l’aria stupefatta più veloce del
del peso del suo corpo che di nuovo
di nuovo non ha fatto in tempo a cadere.
Solo. O anche meno che solo,
meno, perché imperfetto, perché manca di
manca di ali, gli mancano molto,
una mancanza che lo costringe
a voli imbarazzati su una attenzione
senza piume ormai soltanto nuda. […]
Lo sai, lo vedi
con quanta astuzia passa attraverso la sua vecchia forma e
per agguantare il mondo dondolante
protende le braccia di nuovo generate?
Belle più di ogni cosa proprio in questo
proprio in questo momento, del resto già passato.
(L’acrobata, Wisława Szymborska)

 

È una storia di tradimenti. E quindi anche di amore. È una storia di salti. E quindi anche di cadute. Perché in fondo nulla viene escluso da qualcosa. Anche un nano che si chiama Cometa può guardare le stelle e sapere che “al tramonto la sua ombra si allunga” e “all’imbrunire può sembrare un gigante”.

È una storia di tradimenti, amore, salti e cadute “Il trapezista”, il primo romanzo di Marco Gulinelli, geometra ferrarese di 57 anni, già uscito in libreria con la serie di racconti La perizia. Questa volta a pubblicarlo è La nave di Teseo. E alla prima presentazione nella città natale, presso la libreria Ibs Libraccio (giovedì 14 dicembre), la casa editrice ha scelto Ivano Marescotti per accompagnare la parole dell’autore con la recitazione di alcuni brani del libro.

Un libro frutto di una scrittura già matura, pur essendo opera prima, capace di indagare quasi in forma di autoanalisi dentro se stessi. Una indagine per nulla indulgente, anzi “spietata e reale, non soltanto realista – come mi ha confidato l’autore -. Di fatto l’esistenza dei miei personaggi è tanto un dono, quanto è segnata a tratti dal sacrificio, costretti a misurarsi con aspettative insoddisfatte”.

Parlavamo di tradimenti. E il prologo inizia infatti con il protagonista, Marcello Codeluppi, che chiede alla moglie Beatrice perché non lo tradisca. Lui d’altronde quella volta, a soli sei anni, sotto il tendone del circo di Alfio Brillante, al chiarore di quella “fievole luce che animava, allungandole all’infinito, le ombre degli acrobati”, tradì suo padre. Lo tradì per saltare dal trapezio.

Quell’emozione, unita al fascino della funambola Colette, lo convince che quello che vuol fare nella vita è proprio il trapezista, volteggiare “sospeso tra la vita e la morte nel mio tratto di cielo”. E alla fine Marcello in un certo senso trapezista lo diventerà. Non però da una corda all’altra. Diventerà il brillante neurochirurgo Codeluppi. E “aiutare coloro che, per sfortuna, si fossero trovati tra la vita e la morte” gli regalerà l’ebbrezza del perenne equilibrio.

“Il cambiamento avviene nel momento del salto – è di nuovo Gulinelli a parlare -. Si tratta di un non-luogo tra un luogo fisico e uno affettivo, rispettivamente il trapezio e le braccia della persona che ti afferra. Il vuoto tra i due rappresenta la paura, ciò che ti costringe a saltare e che ti sprona al coraggio. Questa zona di transizione è l’unica davvero reale, perché sia il trapezio sia chi ti prende sono illusioni e non possono sostenerti per sempre. Non riesco a scindere del tutto la vita del mio protagonista dalla mia. Nonostante il timore per la sofferenza, per la perdita di qualcuno, o anche solo del controllo, i salti sono i frangenti più appassionati della nostra esistenza, quelli che più ci appartengono, e durante i quali cresci ed espandi. Siamo noi a riempire i vuoti di speranza”.

Ma manca ancora qualcosa per riempire il vuoto di Marcello. Tra “l’ossessivo desiderio di essere tradito” che confessa il protagonista, l’apatia al dolore, la vulnerabilità di chi non ha armi per difendersi perché “dimenticate una notte d’agosto sulle spalle di mio padre”, Marcello Codeluppi sbatte contro una sentenza. E tutti i suoi peccati sono alla sbarra a gridargli la sua colpevolezza. La colpevolezza “di ciò che avrei potuto essere ma che non ero: un padre”.

Qualcosa avverrà. Qualcosa di tragico e di magico. Come l’ombra di un nano che può diventare un gigante. Come un bambino che riesce a espiare la sua colpa di essere orfano. Ma ci vorrà tempo e sofferenza. “Tutto è sospeso – pensa Marcello in un momento topico della sua vita -, la mia sofferenza ha smesso di cercare la sofferenza degli altri e per riprendere familiarità con le cose di tutti i giorni non posso fare di più di ciò che ho sempre fatto: attendere”.

Ma “Il trapezista sa aspettare e ascoltare: entra, sale e si lancia, trovando ogni volta un pezzo di mondo che non ha confini”.

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