L’avvocato della famiglia Simone Bianchi ha depositato l’opposizione alla richiesta di archiviazione per il fascicolo relativo all’omicidio di Willy Branchi, il diciottenne ucciso brutalmente con una pistola da macello la notte tra il 29 e 30 settembre 1988 a Goro.
L’opposizione si basa su due punti fondamentali. Il primo si concentra su “una persona indicata da fonti confidenziali come possibile testimone a conoscenza di particolari importanti riguardanti la notte dell’omicidio di Willy”. Persona che però “non è mai stata sentita dalla procura”.
Il secondo punto riguarda “diverse incongruenze evidenti nelle testimonianze rilasciate al magistrato inquirente”.
La richiesta di archiviazione nei confronti di don Tiziano Bruscagin, ex parroco di Goro, presentata da pm Giusppe Tittaferrante – che aveva riaperto l’indagine dopo tantissimi anni – alla fine di ottobre fu un grande atto di accusa verso quella parte del paese “omertosa e menzognera” che ha taciuto e continua a tacere sugli autori dell’omicidio.
Don Bruscagin, in un’intervista al Resto del Carlino, fece i nomi dei presunti responsabili e di un testimone chiave, portando così la procura a riaprire l’inchiesta. Ma, convocato da pm, Bruscagin negò tutto. Nelle otto pagine della richiesta di archiviazione Tittaferrante ricostruisce la vicenda con i nomi e cognomi dei presunti colpevoli e dei tanti che conoscono la verità, tutte persone che, come scrive il pm, “hanno palesato un evidente fastidio di fronte agli inquirenti” e creato difficoltà con “un vero e proprio atteggiamento menzognero”.
L’avvocato Simone Bianchi, rappresentante dei famigliari di Willy Branchi
Al momento l’unica certezza riguardo al binario processuale della storia di Branchi è il processo che si aprirà a febbraio nei confronti di Carlo Selvatico. Il pensionato di 77 anni di Goro deve rispondere dell’accusa di falsa testimonianza.
Nel novembre 2016 venne convocato in procura per raccontare quanto sapeva, ma si avvalse della facoltà di non rispondere. Selvatico avrebbe avuto un colloquio con una persona alla quale si sarebbe presentato sotto falso nome: avrebbe chiesto informazioni sull’indagine ed espresso timori sull’andamento della stessa. Ma agli inquirenti avrebbe raccontato di non aver parlato mai con nessuno. L’anziano è stato però riconosciuto fotograficamente dalle due persone con cui avrebbe parlato, un intermediario e poi colui che avrebbe ricevuto le confidenze, e la sua ultima versione contrasterebbe anche con alcuni rilievi effettuati dai carabinieri.
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