Attualità
7 Luglio 2017
"Uno sguardo al femminile sul mondo" senza fermarsi alle apparenze e agli stereotipi

Emergency Days, donne e contraddizioni nel mondo musulmano

di Redazione | 4 min

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25Aprile. “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che auguro a voi di non sentire mai”. 

È con le parole di Piero Calamandrei – tra i padri fondatori della Costituzione – che il sindaco Alan Fabbri apre il suo intervento durante la celebrazione del 25 aprile, dopo l’alzabandiera e il picchetto d’onore. 

di Federica Pezzoli

Il Pakistan ha avuto una donna presidente, Benazir Bhutto, due volte primo ministro dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996, la stessa cosa non si può dire degli Stati Uniti, che quando hanno avuto la possibilità di scegliere hanno eletto Donald Trump; inoltre, anche se non tutti lo sanno le donne hanno avuto diritto di voto prima in Turchia che in Svizzera.

E’ stato un racconto sulla e della condizione femminile nel mondo musulmano e in particolare nei contesti di conflitto ad aprire, nel tardo pomeriggio di giovedì 6 luglio al Chiostro di San Paolo, l’ottava edizione degli Emergency Days.

Un quadro molto più complesso di quello che spesso abbiamo nel mondo Occidentale, ricco di sfumature e contraddizioni: “ogni regione vive dinamiche proprie, spesso in Stati confinanti, come per esempio fra Tunisia e Libia, o all’interno degli Stati stessi”, ha sottolineato la moderatrice dell’incontro, Nancy Porsia, giornalista freelance e producer esperta di Medio Oriente e Nord Africa, senza contare che “la condizione delle donne sta cambiando e molto velocemente”.

E un dibattito intitolato “Uno sguardo al femminile sul mondo” non poteva che avere tutte relatrici donne: Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista, è una delle pochissime giornaliste che sono riuscite a documentare il conflitto in Yemen, il paese di origine del marito; Manuela Valenti, pediatra e responsabile della Paediatric Division di Emergency, ha svolto numerose missioni in particolare in Sudan e in Afghanistan; Barbara De Poli, che insegna storia e istituzioni dei Paesi islamici presso il Dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove coordina il Centro Studi sul Medio Oriente Contemporaneo.

Secondo Battaglia l’atteggiamento più giusto è “lavorare nel modo più profondo possibile sull’empatia: non mettersi mai su un piedistallo o in una posizione di opposizione. Questo a parere mio è l’errore di certo femminismo nostrano”. In altre parole “una donna libica che ha partorito dieci figli, dei quali cinque sono stati sacrificati alla causa della guerra civile non per forza retrograda. Bisognerebbe sempre porsi la domanda: è vero che siamo scevre da ogni pregiudizio?” afferma in modo provocatorio la giornalista.

Certo questo atteggiamento non è sempre facile: per esempio “faccio fatica a comprendere come una madre possa accettare di dare in sposa sua figlia ancora molto giovane solo perché tutte le altre donne della sua famiglia hanno fatto così”. “Certo tutte le donne hanno una grande forza e questa forza discende dal potere della maternità. Il punto di riferimento in queste società è la famiglia e loro sono al centro della dimensione famigliare. I conflitti sono le occasioni nelle quali questa forza esce verso l’esterno” conclude Battaglia.

Anche la pediatra di Emergency la pensa così: “l’unica speranza per questi paesi sono le bambine e le donne, perché quando si insegna e si educa una donna si educa tutta una famiglia”. Quando però descrive la condizione femminile in Afghanistan, a emergere stridenti sono le contraddizioni: “è un paese a due velocità” che vive allo stesso tempo nel passato e nel presente e questa situazione si ripercuote sulla vita delle donne afghane.

“Le donne dei paesi sull’altipiano non sono mai uscite dal proprio villaggio, spesso nemmeno dal proprio cortile, molte di loro non hanno idea di cosa siano e dove siano gli Stati Uniti o di cosa sia successo l’11 settembre. Sono donne private di tutto, anche della propria affettività: nessuno ha mai raccontato loro cosa significhi avere un uomo, appena hanno la prima mestruazione vengono separate completamente dal mondo maschile non strettamente famigliare, in media nella loro vita hanno cinque o sei gravidanze e solo la metà dei loro bambini sopravvive oltre i cinque anni. Le ragazze di Kabul, invece, vivono nel presente, con internet, e dunque vivono frustrazioni diverse”.

Anche la professoressa Barbara De Poli sottolinea “la grande diversità della condizione femminile all’interno del mondo musulmano, ci sono donne emancipate, nel senso occidentale, e donne emarginate” e aggiunge che “la storia del femminismo nel mondo musulmano è più o meno contemporanea a quella del movimento in Europa”.

A suo avviso il punto di partenza per un’analisi seria è la consapevolezza della “diversa percezione dei diritti delle donne”: “noi per esempio abbiamo l’ossessione del velo, ma nel mondo musulmano per le femministe il velo è l’ultimo dei problemi: sono molto più importanti le battaglie per l’istruzione e l’educazione, per l’emancipazione e la rappresentanza politica, per il diritto alla salute per tutte le donne, per l’emancipazione economica”. Come spesso accade per le tematiche di genere quindi la conclusione sembra essere non fermarsi alle apparenze e agli stereotipi eurocentrici, nemmeno quelli femministi.

La prima serata degli Emergency days è poi proseguita con la musica degli Lsd-London Sixties Dream e dei Carte 48.

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