Spettacoli
20 Marzo 2017
Gran chiusura della stagione di prosa del Teatro Comunale con "Quello che non ho"

Neri Marcorè e il suo omaggio a Pasolini e De Andrè da tutto esaurito

di Redazione | 3 min

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(Foto di Marco Caselli Nirmal)

di Federica Pezzoli

Pier Paolo Pasolini, Fabrizio De Andrè e Neri Marcorè: non poteva che essere un tutto esaurito venerdì sera per la prima delle tre date di “Quello che non ho”, lo spettacolo che chiude la stagione di prosa 2016-2017 del Teatro Comunale  Claudio Abbado di Ferrara.

Scritto e diretto da Giorgio Gallione, con in scena il celeberrimo attore marchigiano e tre giovani bravissimi polistrumentisti – Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini – “Quello che non ho” è un lavoro di musica e parola, in bilico fra il teatro canzone e il varietà disincantato, che prende ispirazione da Pasolini e De Andrè e diventa così un tributo a questi due profeti eretici del secondo Novecento italiano, ma che soprattutto vorrebbe risvegliare nel pubblico almeno una scintilla di quei due rivoluzionari armati di poesia e note, che hanno combattuto stereotipi e cliché anche andando contro il cosiddetto ‘senso comune’.

Gli Scritti corsari di Pasolini letti in attesa di un concerto di De Andrè, questo è il punto di partenza della serata, che propone agli spettatori un mosaico di episodi, personaggi, drammi, orrori e miserie sul mondo di ieri e di oggi, per guardare a quello di domani, perché secondo una visione ottimista: “è nel futuro che viviamo la maggior parte della nostra vita”. Si parla allora di ecologia, razzismo, sfruttamento del pianeta, economia, trafficanti di armi, lavoro minorile, mafia, burocrazia, politica e potere: c’è differenza fra “vocazione a governare” e “vocazione a detenere il potere”?

(Foto di Bepi Caroli)

La “metamorfosi antropologica” che Pasolini ha raccontato descrivendo la “cultura del consumismo” come il “fascismo contemporaneo” ha portato alla riduzione della partecipazione popolare al virtuale “mi piace” o “non mi piace”, grottesca e poco originale imitazione degli antichi pollici italici che decidevano della vita e della morte dei gladiatori nell’arena.

Viviamo la profezia pasoliniana di una “nuova preistoria” in cui il consumo diventa rito e la merce feticcio. L’uomo di oggi per soddisfare i propri pseudo-bisogni cerca di ignorare non solo ogni valore morale più elementare, ma anche un basilare istinto di autoconservazione, correndo a passi veloci, come mai era accaduto nella storia, verso un’autodistruzione ormai non più solo annunciata, ma quasi presente, fra bambini soldato o oggetti sessuali o schiavi nelle miniere di coltan e isole di plastica grandi come la nostra penisola al largo delle Hawaii.

“Quello che non ho è ciò che non mi manca”, cantava De Andrè: le sue poesie in musica diventano lo strumento per dar voce a chi solitamente non ne ha, come quando Giuain Khorakhanè canta in lingua romanes. E poi Don Raffaè, Smisurata Preghiera, Dolcenera, Ottocento, Se ti tagliassero a pezzetti. Questa è la colonna sonora dello spettacolo, nel quale però i momenti musicali non sono semplici stacchi, ma parti integranti della drammaturgia.

Grande prova attoriale e vocale di Neri Marcorée dei suoi tre compagni di palco, che hanno cantato sempre a più voci, coniugando il canto con la chitarra e le percussioni. Mentre l’arrangiamento musicale dei brani di De Andrè è merito del lavoro svolto dal maestro Paolo Silvestri.

Unico piccolo neo: l’estrema eterogeneità dei contenuti, spesso trattazioni di fatti di cronaca, per quanto poco conosciuti dai più, piuttosto che spunti di riflessione veri e propri. Finisce così in parte per perdersi l’incisività che dovrebbe suscitare lo shock negli spettatori e la denuncia risulta a tratti edulcorata e più didattica che politica e antropologica.

“Quello che non ho” rimane uno spettacolo bello e utile, se non necessario, soprattutto in questi ‘tempi bui’, nei quali si confondono protesta e violenza, rivoluzionari e reazionari e nei quali raccontare le verità di una società in decadenza, fuori dallo schermo – della tv o del computer – latore di verità contrapposte, ma ugualmente virtualmente assolute, attraverso il teatro, per sua stessa natura momento di con-presenza e di riflessione, diventa assolutamente efficace e produttivo.

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