“Non so nulla, lo conoscevo di vista, non mi interessa se è morto un ragazzo di 18 anni” dice Carlo Selvatico all’uscita del tribunale dove è stato interrogato dal pm Giuseppe Tittaferrante.
La mattina di giovedì il pensionato di 77 anni di Goro è in procura per il caso dell’omicidio di Willy Branchi – ucciso la notte tra il 29 e 30 settembre 1988 e poi gettato nudo nell’argine del Po da persone ancora sconosciute -, indagato per aver reso false dichiarazioni al pubblico ministero. Davanti al pm, assistito dall’avvocato d’ufficio Enrico Sisini, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Selvatico avrebbe avuto un colloquio con una persona, secondo le accuse presentandosi anche sotto falso nome, a cui avrebbe chiesto informazioni sull’indagine ed espresso timori sull’andamento della stessa. Ma alla procura avrebbe raccontato di non aver parlato mai con nessuno. L’anziano è però stato riconosciuto fotograficamente dalle due persone con cui avrebbe parlato, un intermediario e poi colui che avrebbe ricevuto le confidenze, e la sua ultima versione contrasterebbe anche con alcuni rilievi effettuati dai carabinieri. Per questo sulla sua posizione è stato aperto un fascicolo parallelo all’indagine principale che cerca di far luce, dopo 28 anni, su quel brutale omicidio.
Con le stesse accuse rimane aperto il fascicolo anche a carico di don Tiziano Bruscagin, già interrogato nel maggio 2015 dopo aver smentito le rivelazioni che fece al Resto del Carlino.
Due fascicoli paralleli che testimoniano la persistenza di un clima di omertà sulla vicenda e le grandi difficoltà che presenta l’indagine dove il pm tenta di aprire varchi di luce che illuminino la verità.
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