Eventi e cultura
31 Ottobre 2016
Omaggio edl fondatore del Teatro Nucleo a un grande padre della drammaturgia contemporanea a sessant’anni dalla morte

L’opera di Brecht celebrata da Czertok all’Ariostea

di Redazione | 4 min

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czertok crechtdi Federica Pezzoli

Due storie che hanno molto in comune, a partire dall’amore per il teatro, al quale hanno dedicato la vita: forse da questa affinità è nata l’idea di Horacio Czertok, fondatore del Teatro Nucleo, di celebrare il sessantesimo anniversario della scomparsa di Bertolt Brecht. Ne è nato “A Bertolt Brecht”, un mix fra conferenza e teatro, andato in scena venerdì pomeriggio nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea in collaborazione con l’Istituto Gramsci e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara.

A mettere ‘sotto i riflettori’ il parallelo fra Brecht e Czrtok è stato Roberto Cassoli dell’Istituto Gramsci: entrambi, per esempio, hanno portato avanti “una ricerca su un nuovo modo di fare teatro” ed entrambi “hanno fondato un proprio teatro”.

È fra il 1926 e il 1930, spiega Cassoli, che Brecht concepisce la propria teoria del ‘teatro epico’, allo stesso tempo politico e didattico, per la formazione delle masse, e la tecnica dello ‘straniamento’, secondo cui lo spettatore non deve immedesimarsi, ma è invitato a tenere una distanza critica per riflettere su quello che vede in scena.

Horacio inizia la propria attività artistica a Buenos Aires nei primi anni Settanta, è tra i fondatori della Comuna Baires e della rivista “Teatro 70”. Con l’aumento della repressione politica in Argentina le compagnie teatrali si trovano in difficoltà e la Comuna Baires decide di esiliarsi in Italia, mentre Horacio Czertok e la sua compagna Cora Herrendorf fondano a Buenos Aires il Teatro Nucleo e la rivista “Cultura”. Al centro del teatro di Horacio, spiega Cassoli, c’è “la relazione fra attori e spettatori” e “nel momento in cui avviene lo spettacolo si crea una comunità”.

“Entrambi poi – continua Cassoli nel suo intervento introduttivo – hanno dovuto abbandonare il proprio paese e girovagare per l’Europa”.

Dopo il colpo di stato dei generali nel marzo del 1976 il Teatro Nucleo è costretto a sospendere l’attività pubblica. Dopo una lunga permanenza in Europa e una tournée in Italia nei circuiti alternativi, si stabilisce a Ferrara, chiamato da Antonio Slavich, allora direttore dell’Ospedale Psichiatrico e collaboratore di Basaglia nell’azione che porta alla legge 180 e alla chiusura dei manicomi. Il Teatro Nucleo viene così rifondato nel 1978 a Ferrara nei locali dismessi dell’OPP. Da allora Czertok con i suoi collaboratori porta avanti un’idea di “teatro come opportunità di cambiamento”, attraverso il Centro di Studio sul Teatro nelle Terapie e, più recentemente, i laboratori e i progetti del Teatro in Carcere.

Brecht viaggia per 15 anni dopo essere fuggito dalla Germania divenuta nazista, tanto che dirà in una sua poesia: “cambio più spesso paese delle scarpe”. Arriva in California nel 1941 passando per Mosca e imbarcandosi a Vladivostok. Nonostante l’esilio, Brecht è molto produttivo: in quegli anni scrive “Madre Coraggio e i suoi figli”, “Vita di Galileo”, “La resistibile ascesa di Arturo Ui”. Finita la guerra nel 1945, Brecht comincia subito a pensare al ritorno in Europa. Nel 1947 però viene interrogato dalla Commissione per le attività antiamericane.

La prima tappa del ritorno di Brecht dall’esilio è Zurigo. Brecht vuole però un teatro tutto suo, che gli permetta di sperimentare e di applicare le sue teorie, perciò quando vede una possibilità per lui a Berlino Est torna in Germania e fonda il teatro Berliner Ensemble che diventa una delle più importanti compagnie teatrali europee. Nonostante i numerosi dissapori con le autorità della Ddr, Brecht rimarrà a Berlino Est fino alla morte, nel 1956. Aveva detto: “Non mi serve una lapide, ma se a voi ne serve una per me, vorrei che sopra stesse scritto: ha fatto delle proposte, noi le abbiamo accolte. Una simile scritta farebbe onore a noi tutti”.

A questo punto la parola è passata a Czertok in persona che ha costruito a sua volta un parallelo: questa volta fra Brecht e Gramsci critico teatrale a Torino, inventore della categoria di “insincerità” per definire la decadenza dei teatri della sua epoca, strenuo difensore anch’egli del “valore sociale del teatro” e della “funzione di formazione estetica” del teatro, importante perché “parla alla collettività e non all’individuo”.

Secondo il fondatore del teatro Nucleo, la contemporaneità del drammaturgo e poeta tedesco va “al di là della ricezione della sua opera”: Brecht è stato l’anticipatore del teatro civile. “Il Piccolo Teatro di Milano e il Living Theatre hanno trovato nel Berliner Ensemble e nella tecnica dello straniamento un punto di riferimento”.

Si è così creato un curioso paradosso per cui Brecht è “avanguardia perennemente reinterpretabile”, ma nello stesso tempo “il teatro istituzionale non si stanca di celebrarlo”. Brecht è un classico, un autore che resite nel tempo perché “custodito per l’immaginario che la sua opera genera al di là delle epoche”.

Forse l’osservazione più interessante di Czertock riguarda però la fortuna attuale di Bertolt Brecht: il connubio fra cabaret, espressionismo e denuncia dell’autore tedesco, per lui consentirebbe “di inscenare la nostalgia delle ideologie portatrici di senso e la festa del vuoto sulle loro spoglie” che caratterizza il tempo presente.

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