Pensieri stringati
29 Luglio 2016

Numero 19

di Paolo Simonato | 7 min

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Vento da destra porta tempesta

Partiamo da tre fatti recenti. Il Ministro dell’istruzione (e del merito), leghista, si è preso la briga – diremmo noi ferraresi - di intervenire sulla scelta di una scuola di chiudere un giorno per consentire alla propria, alta, affluenza musulmana di festeggiare...

Esco di casa.

L’umidità dell’aria rasenta il punto di rugiada, o di soffocamento del podista. Ma mi avvio comunque verso l’alberone, desideroso di incontrare Luca e di sentire cosa pensa del curioso messaggio WhatsApp che ho appena ricevuto.

Ci salutiamo e ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza), e dopo le prime battute gli dico:

“Ti voglio raccontare una storia. La settimana scorsa ho conosciuto una persona molto particolare…”.

“Col lavoro che fai…” dice lui.

“Le persone particolari ci sono dappertutto” rispondo mentre rompiamo il fiato, per quanto possibile nell’afa. Questa è un carabiniere”.

“Dove l’hai incontrato?”

“Parto dall’inizio. E’ successo che giorni fa stavo comprando della Tachipirina e la farmacista mi ha fatto notare che secondo lei i 20 Euro che le avevo dato erano strani, più leggerini, più sbiaditi. L’ho pagata con un’altra banconota e uscendo mi sono posto il problema: saranno falsi? Che faccio? Li smollo a un ignaro qualcuno, così come qualcuno li ha smollati a un ignaro me, o mi prendo il mal di pancia di spendere una quantità imprecisata del mio prezioso tempo per andare in Caserma e dopo un’attesa di ore sporgere una denuncia che con tutta probabilità non avrà altra conseguenza che farmi sequestrare il succitato capitale?”.

“Se ti conosco” dice Luca “immagino che avrai scelto la seconda opzione…”.

“Infatti; ma sai quale è stato il vero motivo? Mi ricordavo una scritta che c’era nelle banconote che vedevamo da bambini, quando c’era la lira: ‘la legge punisce i fabbricatori e gli spacciatori di biglietti falsi’.

Mi sembrava un monito tremendo, inaggirabile. Immaginavo i fantomatici fabbricatori di biglietti falsi in qualche cantina fumosa e semibuia nell’atto di avviare delle rotative e delle stampanti sgangherate. Costretti a vergare loro stessi quel preavviso alla fine, terrorizzati, desistevano: come puoi commettere un crimine che prevede che tu stesso devi scrivere che se commetti quel crimine sarai punito?”.

Luca sorride: “dovevi avere l’idea che i criminali fossero soprattutto degli smemorati, e che fosse sufficiente ricordargli che la loro attività era illecita per ravvederli…”.

“Credo di sì” rispondo sorridendo anch’io “e quindi che sotto sotto l’uomo fosse intrinsecamente buono.

Ora, sugli Euro quella dicitura non c’è, forse bisognerebbe riportarla in troppe lingue; ma a me è rimasta stampata nella memoria. E la scritta parla di fabbricatori e spacciatori, ed io, acquistando qualcosa con una banconota che ho il fondato sospetto possa essere falsa, potrei ricadere nella seconda categoria.

Insomma il giorno dopo mi armo di pazienza e vado dai Carabinieri.

Non so se succede anche a te, ma quando ho a che fare con le Istituzioni, anche se il motivo è correlato a una richiesta di aiuto o all’offrire la propria collaborazione da bravo cittadino, sento serpeggiare in me una leggera inquietudine. Sarà per colpa di un Super Io rigidello, ma i controlli, le telecamere, non mi sono mai piaciuti.

Comunque declino le mie generalità al ragazzo che suda nell’angusta guardiola e nella ancor più angusta uniforme, mi accomodo in sala d’attesa e attendo, sudando un po’ anch’io, per solidarietà.

Guardo i poster attaccati alle pareti, Carabinieri in azione su jeep, elicotteri, motoscafi, motoslitte, il tutto nell’intento di trasmettere una competenza e un’efficacia che stride col semplice fatto che le foto stesse sono vecchie, ingiallite, un po’ accartocciate negli angoli.

Dopo un’oretta l’appuntato mi chiama e mi indica un corridoio scuro, l’ultima porta a destra.

Busso e la voce calda del Maresciallo Gregorio Sansarin, di chiare origini venete, mi invita a entrare. Si alza in piedi, mi stringe la mano, mi sorride e mi indica una sedia di fronte alla sua scrivania. ‘Se desidera accomodarsi’.

Potrà avere sessant’anni, gli occhi chiari, i capelli che dovevano essere biondi; il sorriso è dolce e involontario.

Ha una cortesia antica, polverosa ed elegante senza essere affettata, che per qualche motivo si sposa perfettamente con la collezione dei calendari dell’Arma attaccati in buon ordine sul muro alle sue spalle.

Si muove con lentezza, direi con parsimonia; le sue mani appaiono precise e rispettose degli oggetti che utilizzano.

Mi chiede un documento, riporta al computer le mie generalità e i miei recapiti e si fa raccontare quel poco che c’è da raccontare. Sì, era il 29 giugno, sì, ero andato in farmacia, no, non ricordo chi mi ha dato la banconota, no, non sono sicuro che sia falsa.

Mi rilegge lentamente il testo, scritto in quel linguaggio rigido e improbabile della burocrazia, con quella narrazione dei fatti in prima persona e tra virgolette che mi fa sempre inorridire, perché io non direi mai ‘in data tale alle ore tali mi trovavo in piazza talaltra ed essendo in necessità di acquistare alcuni medicinali mi sono introdotto nella vicina farmacia…’. Ma tant’è, approvo e sottoscrivo le 2 canoniche copie.

‘Sono costretto a trattenere la banconota’ spiega dispiaciuto ‘dovremo inviarla alla Banca d’Italia per verificare se effettivamente è contraffatta’ Aggiunge, quasi scusandosi: ‘Non credo che si potrà fare qualcosa, ma le prometto che le farò sapere’.

Penso sia ora di accomiatarci quando lui, restituendomi la carta d’identità, dice con tono assorto: ‘lei è uno psichiatra…’.

‘Sì’ ammetto io, con quel misto di orgoglio e imbarazzo che mi suscita sempre questa confessione.

‘Quindi anche lei ha a che fare con gente, con situazioni… difficili’ parla sempre con un tono pacato, quasi rassegnato.

Lo guardo, ho la sensazione che voglia parlare. Ascolto.

‘Nel mio lavoro, sa, si incontrano tante persone, si parla con loro. Magari hanno fatto qualcosa di sbagliato, cerchi di capire, di spiegare. Capita di essere chiamati, di entrare nelle case. Trovi persone in difficoltà, spesso miseria. Si ha la sensazione che non si possa rimediare a nulla. Cioè, che se rimedi a qualcosa, poi scopri che dietro c’è un problema più grande, e dietro quello un altro ancora…’.

Non sono neanche troppo sorpreso da questa improvvisa confessione, che potrebbe essere facilitata dalla mia professione, o dal fatto che ha trovato in me qualcosa che gli ha fatto capire di potersi sfogare.

‘C’è un litigio in una famiglia, si cerca di appianarlo, ma dietro il litigio c’è l’ignoranza, ma dietro l’ignoranza c’è la povertà, ma dietro la povertà c’è la disoccupazione…’

‘Non si riesce mai ad arrivare alla fine, vero?’ gli dico.

‘E’ così, non si riesce mai ad arrivare alla fine. E’ come con questa banconota: se anche lei si ricordasse da chi l’ha avuta, bisognerebbe andare a chiedere a questa persona da chi l’ha avuta, e poi bisognerebbe andare da quest’altra persona e chiedere da chi l’ha avuta, e poi da quest’altra ancora, e così via…’

‘Non c’è un termine all’indietro di questa sequenza’

‘Ma non c’è nemmeno un termine in avanti’ aggiunge con calma rassegnata ‘la ruggine, la corruzione, il male procedono sempre, inarrestabili. Cosa può fare un Carabiniere, o uno psichiatra?’.

Capisco che per il maresciallo Gregorio Sansarin l’universo procede inarrestabilmente verso uno sfacelo di cui lui è lo sbigottito e impotente spettatore. Forse non la vedeva così, quando da ragazzo si è arruolato nell’Arma. Forse pensava di potere fare qualcosa, di potere migliorare un po’ le cose. Forse si sente ingannato. Forse anche a lui hanno dato una banconota falsa.

Resto in silenzio, osservo quest’uomo che porta avanti con fermo coraggio un compito che è convinto essere perfettamente inutile.

So che non c’è risposta alla sua domanda, se la risposta non la trova lui.

‘Possiamo lavorare bene’ provo comunque a dire ‘e nel mio lavoro come nel suo ascoltare le persone è un lavoro fatto bene’.

‘Già’ fa lui ‘possiamo fare un lavoro fatto bene’.

“E poi?” chiede Luca.

“Basta, ci siamo salutati”.

“Mi sembra però che qualcosa questa persona ti abbia lasciato…”.

“Cioè?”.

“Cioè un’idea delle Istituzioni, una volta tanto, meno persecutoria e più umanizzata”.

“Hai ragione, è così. Ma non solo: un istante prima di uscire di casa mi è arrivato un messaggio su WhatsApp, ed era lui. Si presenta, mi saluta, e mi invia una foto del documento della Banca d’Italia in cui si attesta che la banconota è stata riconosciuta come falsa. Come mi aveva promesso, mi ha fatto sapere”.

“Il Maresciallo Gregorio Sansarin è un uomo di parola. Cosa gli hai risposto?”

“Non gli ho ancora risposto. Tu cosa gli risponderesti?”.

Luca ci pensa sopra: “Gentile Maresciallo, la vita è una banconota falsa che gira continuamente di mano in mano, ma capita che nel suo corso si incontrino persone autentiche. Ha fatto un lavoro fatto bene”.

Il sole sta tramontando, arancio carico, dietro il cimitero ebraico, mentre io e Luca corriamo piano verso casa.

“Mi piace” dico a Luca “quando torno gli rispondo così”.

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