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30 Giugno 2016
Mostra al Mart di Rovereto fino al 9 ottobre

I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo

di Redazione | 4 min

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di Maria Paola Forlani

Il Mart di Rovereto  ha aperto, fino al 9 ottobre, la mostra I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo a cura di Beatrice Avanzi, Musèe d’Orsay; Daniela Ferrari, Mart; Fernando Mazzocca, Università degli Studi di Milano e presenta oltre 80 opere in sei sezioni cronologiche e tematiche: Il Divisionismo tra vero e  simbolo; La luce della natura; La declinazione simbolista. Una “pittura di idee”; La declinazione realista. L’impegno sociale; Verso il futurismo; La pittura futurista.

Come in Francia, anche in Italia, sulla fine del secolo, la conoscenza delle teorie sul colore conduce a una corrente artistica che, analogamente al pointeillsme, sostiene la necessità di non mescolare i colori sulla tavolozza, ma di accostarli direttamente sulla tela, puri, cosicchè la fusione avvenga nella rètina dell’osservatore. Poiché i colori invece che fusi, sono divisi, questa corrente pittorica è detta “divisionismo” con un termine che lo stesso Seurat avrebbe preferito a pointillsme, ritenendolo più adatto a esprimere la propria tecnica.

E, analogamente a quanto accade in Francia, il divisionismo si carica spesso di significati simbolici, come riaffermazione dell’intima spiritualità dell’artista contro il verismo e quindi contro i macchiaioli.

Se ne accorse bene Fattori, che ha sempre difeso il verismo, accusando i divisionisti e i simbolisti, fra i quali un gruppo di suoi allievi, di mancare di personalità, perché seguaci di un programma e di fare perciò “una nuova accademia convenzionale”, come “servi umilissimi di Pissaro”, aggiungendo: “Noi macchiaioli del tempo antico si lottava ma nessuno correva dietro all’altro”.

Le teorie divisioniste sono state esposte da Gaetano Previati (Ferrara 1852 – Lavagna, Genova, 1920) in alcuni scritti degli inizi del secolo nuovo, ma la corrente era nata da qualche decennio con opere dello stesso Previati, di Segantini e di Morbelli e già Vittore Grubicy de Dragon (Milano, 1851 – ivi, 1920) aveva scritto entusiasta che con questa pittura “si arrivava a rappresentare la luce, e poiché tutto quello che si vede è luce , si potevano creare delle immagini talmente simili agli aspetti della realtà, da parere prodigi”, esaltando però al tempo stesso “il valore soggettivo dell’artificio pittorico”.

Il divisionismo è un fenomeno principalmente lombardo, secondo una logica continuazione storica della cultura locale che tende, dal Piccio alla “scapigliatura”, a scorrere la forma nel pulviscolo atmosferico, in opposizione alla razionale solidità toscana.

Il divisionismo si configura, quindi, non come una filiazione del movimento francese, ma come tendenza autonoma, che condivide con il pointillsme alcuni presupposti tecnici e teorici. Al centro dell’indagine della pittura divisionista c’è la rappresentazione della luce, in particolare dell’ambiente naturale. Liberatasi della tradizione paesaggistica, la pittura divisa trova nell’ambiente una dimensione di unione tra l’uomo e la natura e un tema privilegiato di indagine luministica.

Pur nelle differenze stilistiche e tematiche tra un pittore e l’altro, che in mostra sono sottolineate e poste a confronto, alcune questioni, largamente condivise, emergono con forza. L’interesse per il mondo operaio, per esempio, o la predominanza di opere dedicate a tematiche politiche e sociali, evidenzia un cambiamento di gusto e un’attenzione alle condizioni delle classi più disagiate e alle disparità sociali senza precedenti che permette alla pittura di assumere una dimensione collettiva e politica lontana dal pietismo della pittura di genere dei decenni precedenti.

Dalla forza di questa nuova poetica e sulle sue basi tecniche scaturisce all’inizio del ‘900, il Futurismo. Il maggiore movimento d’avanguardia italiano si sviluppa intorno alle idee del poeta Filippo Tommaso Marinetti che nel febbraio 1909 irrompe sulla scena artistica con il Manifesto Futurista, pubblicato sulla prima pagina de “Le Figaro”. All’appello aderiscono Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini che nell’aprile dell’anno successivo firmano il Manifesto tecnico della pittura futurista, in cui proclamano che “non può sussistere pittura senza Divisionismo”, indicando nella comune formazione divisionista il substrato di partenza del movimento. La scomposizione della luce associata a quella forma e a una vocazione alla rappresentazione del movimento e della velocità della vita moderna proiettano l’arte italiana nel cuore del coevo dibattito artistico europeo. La città industriale in piena crescita, le periferie urbane in espansione, il dinamismo e il progresso sono temi che caratterizzano questa nuova ricerca.

Per rendere questa globalità carica di “significati” e di “moto” nelle arti visive, immobili per costituzione, il futurismo si serve, in pittura, principalmente delle “linee forza”; poiché la linea agisce psicologicamente su noi con significato direzionale, essa, collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di semplice segmento e diventa “forza” centrifuga o centripeta, mentre oggetti e colori si sospingono in una catena di “contrasti simultanei”, determinando la resa del “dinamismo universale”.

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