Cronaca
7 Ottobre 2015
Bonfiglioli: “Il diritto punisce ciò che lo Stato implementa. Intreccio ipocrita”

La piaga del gioco d’azzardo, tra patologia e crimine

di Redazione | 3 min

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unnamed (30)di Silvia Franzoni

Il gioco d’azzardo è diffuso e persuasivo: “l’uso patologico del gioco riguarda circa 200.000 persone nel Paese e il costo di ogni singola presa in carico si aggira attorno ai 30.000 euro, così che l’aspetto sociosanitario incida sul bilancio per circa 5,6 miliardi di euro”. A presentare i dati, preoccupanti, è Gian Guido Nobili (servizio Politiche per la Sicurezza e Polizia locale Regione ER); l’occasione è l’iniziativa di presentazione della ricerca ‘Le implicazioni sociali del gioco d’azzardo’, svoltasi ieri pomeriggio come appuntamento del programma della sesta edizione della ‘Festa della legalità e della responsabilità’, promossa da Comune e Regione.

La ricerca, figlia della legge regionale 3/11 e nata in collaborazione con l’Università di Bologna, è volta ad indagare un fenomeno, quello del gioco d’azzardo, che si presenta più come ‘questione’ che come problema. Susanna Vezzadini, docente di Teoria dei processi di vittimizzazione Unibo e coautrice della ricerca, evidenzia quella che si configura come “la trasformazione dell’immagine del giocatore: trasversalità, crescita esponenziale della polifruizione e variabilità dei contesti di gioco”. Le 46 interviste raccolte tra giocatori ed ex-giocatori del territorio regionale si sono indirizzate ad un approccio qualitativo, uno “sguardo dall’interno” su di un campo complesso quale è quello del gioco d’azzardo fin dal suo punto di vista definitorio.

Si tratta di uomini, principalmente ma non esclusivamente, tra i 40 e i 60 anni con punte di giovanissimi (23-30 anni) per il gioco online. Varie le professioni, vari i titoli di studio, stessa estraneazione dal lavoro e dalla famiglia: “la moltiplicazione delle sedi di gioco – spiega Vezzadini – comporta un aumento della frequenza e una dilatazione dei tempi di gioco, così che diventi una attività totalizzante, che impegna fino a 8-10 ore al giorno, un vero atteggiamento compulsivo”. La motivazione al gioco è spesso quella di una “idea di cambiamento, una opportunità di miglioramento di una esistenza – continua – percepita come insoddisfacente”. A questo si accompagna il dato emotivo, di “ricerca dell’emozione, di adrenalina”. L’avvento della possibilità di gioco online, poi, comporta un cambiamento del significato stesso di gioco: “se prima il rapporto soggetto-strumento era esclusivo, ora – evidenzia – si inserisce il concetto di visibilità all’interno di una comunità, quella online, nella quale si cerca fama e notorietà”. Molte e varie, poi, le implicazioni criminose: queste si riscontrano “in maniera diretta, almeno 5 degli intervistati hanno riportato condanne penali per comportamenti devianti, ma il contatto con ambienti criminosi facilita la presa di coscienza della propria condizione di disagio e la successiva richiesta d’aiuto”.

Il gioco d’azzardo è monopolio dello Stato che, negli anni, ha moltiplicato l’offerta. L’intreccio è però “ambiguo e ipocrita”, sottolinea Antonio Bonfiglioli (docente di Diritto Penale e Processuale UniBo e coautore della ricerca), perché “il diritto punisce ciò che lo Stato implementa”. Se le direttive sono state omogenee, “dal 1992 il cammino intrapreso è stato deprecabile – spiega Bonfiglioli – lo definirei di utilitarismo perbenista: da un lato si sono introdotti nuovi modi di fare cassa, come i gratta e vinci, e si vende come ‘gioco sicuro’, dall’altro si sbandiera il vessillo della moralità apponendo un semplice ‘gioca con moderazione’”.
Secondo la legge, si ha gioco d’azzardo quando concorrono il fine di lucro e la vincita, o perdita, interamente o quasi interamente aleatoria (articolo 721 del Codice Penale, ndr): “lo Stato propone giochi totalmente aleatori, e lo fa con una ripetitività preoccupante, anche perché le ragioni nobili del monopolio cadono di fronte alle percentuali di vincita di tipo usuraio che si accompagnano al gioco d’azzardo statale, che è l’unico legale”. A livello periferico – Comuni, Provincie e Regioni – l’attenzione al tema è notevole, “ma a livello centrale non sta cambiando nulla – conclude Bonfiglioli – proposte di legge virtuose giacciono nei cassetti”.

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