Editoriali
4 Settembre 2015
La fiera della necrofilia. L'editoriale di Estense.com

Il salvagente di Aylan

di Marco Zavagli | 4 min

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“Lastrichiamo di scheletri il vostro mare per camminarci sopra.
Non potete contarci, se contati aumentiamo
figli dell’orizzonte, che ci rovescia a sacco[…]
Faremo i servi, i figli che non fate,
nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.
Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino,
l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso”

(Erri De Luca, Sola andata)

 

La Treccani offre una efficace traduzione del latino profugus: chi cerca scampo. “Scampo” è il rifugio che il profugo, fuggito da guerra o povertà, spera di incontrare alla meta. E il rifugio è l’accoglienza, una speranza di vita.

La storia è prodiga di cattivi esempi quanto ad accoglienza. Spesso si accanisce e insegna a perseguitare il perseguitato. Altre volte la confonde con indifferenza. Ieri era l’indifferenza di chi guardava “i vagoni carichi di ebrei diretti ai campi di concentramento” (cito l’intervento tanto discusso di Tagliani). Oggi è l’indifferenza di chi guarda con distacco quello che succede dall’altra parte del Mediterraneo. “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari – scriveva Brecht -, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. […] Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Per questo condivido il pensiero di Tagliani. Separando l’intervento del primo cittadino dalla questione locale sulle modalità dell’accoglienza a Ferrara, il paragone tra l’emergenza umanitaria di questi mesi e l’Olocausto non è fuorviante. Olocausto, non Shoah. Sacrificio. Sacrificio di milioni di corpi.

“Qualcuno è in grado di assicurare che l’umanità è vaccinata rispetto all’orrore?” si è chiesto il sindaco di Ferrara. Anche qui Brecht, che di profughi – lui che cambiava più spesso paese che scarpe – era più che esperto, ammoniva i suoi contemporanei: “E voi, imparate che occorre vedere/ e non guardare in aria; occorre agire/ e non parlare. Questo mostro stava/ una volta per governare il mondo!/ I popoli lo spensero, ma ora non/ cantiam vittoria troppo presto/ il grembo da cui nacque è ancora fecondo”.

Ora l’indifferenza di questo grembo ancor fecondo pare essersi scalfita. La foto di Aylan ha scatenato clamore e indignazione. Questo pesciolino umano (“i marinai li chiamano Gesù/ questi cuccioli nati/ sotto Erode e Pilato messi assieme”) di cui il mare ha trattenuto la vita per rigettare a terra l’involucro che la conteneva sembra aver scosso le coscienze. Non tutte, non abbastanza. La potenza dell’immagine ha avuto un suo effetto. Spesso vale più di molte parole. Ma spesso rimane un istante che relega il raccapriccio allo spazio di pochi giorni. Per lasciare che tutto ricominci, e finisca, come prima. Sono anni che il Mediterraneo è bara di acqua per centinaia di migliaia di corpi. Ora il numero di chi cerca scampo alle frontiere del Vecchio Continente è aumentato.

E diventa facile trarne argomento di battaglia politica. Un’Europa in crisi, questo il refrain, non può sostenere le onde umane che si riversano sulle sue coste. E, come il mare con il pesciolino Aylan, le vorrebbe respingere. Se gli abissi non li accolgono, ecco il frangiflutti delle schermaglie politiche internazionali, dei muri magiari, del pretesto dell’antiterrorismo. Il premier inglese Cameron individua in Assad e nell’Isis i maggiori responsabili dell’emergenza migranti. Gli sfugge la lettura contraria. I migranti sono le maggiori vittime dell’emergenza Siria e Isis. Senza dover attraversare le Alpi, in chiave locale abbiamo invece chi vorrebbe punire chi li accoglie, magari aumentandogli le tasse. E i responsabili? La scusante economica è il motto assolutorio che ho letto di recente in commenti al nostro giornale.

Eppure a livello microeconomico sembra esistere una legge della natura (solo umana) secondo la quale è lecito scandalizzarsi più per l’episodio di microcriminalità come uno scippo o un furto piuttosto che per un crac aziendale che mette in ginocchio migliaia di famiglie.

Se poi ci mettiamo chi infarcisce questa indulgenza plenaria con la storia dei 35 euro al giorno, del migrante che scende dal barcone con cellulare e giacca firmata (cito sempre da alcuni commenti), la coscienza può riposare tranquilla. Ammesso che sia mai stata impegnata in qualche sforzo.

A loro (chi ha espresso certe considerazioni e chi le approva) chiedo di riguardare la foto di Aylan. Addosso ha delle scarpette, dei jeans corti e una maglietta rossa. Tutti imbevuti di acqua salmastra. Non manca qualcosa? Manca un salvagente. Il biglietto pagato dal padre di Aylan non comprendeva il giubbotto di salvataggio. Il padre di Aylan ha acquistato il tagliando più economico verso le coste greche. Immagino perché non poteva permettersi di comperare per la moglie e i due figli il giubbotto di salvataggio.

Già, perché nell’immensa fiera della necrofilia che si snoda sui porti di sola andata di Africa e Asia vendono anche l’equipaggiamento necessario a scampare alla morte. Scampare. Chi cerca scampo deve sperare di non essere così povero da terminare anzitempo la sua fuga. Ecco il capo firmato che voleva Aylan, un salvagente.

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