Recensioni
10 Marzo 2015
Palazzo del Governatore ospita un percorso che si propone di esplorare l’aspetto sacrale e archetipico della maternità

Mater, a Parma la mostra sulla maternità

di Redazione | 4 min

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di Maria Paola Forlani

Incipe, parve puer, risu conoscere matrem.
Incomincia, piccolo, a riconoscere la madre dal sorriso
Virgilio, IV Ecloga, v.60

La maternità racchiude in un’unica immagine il mistero della vita nell’Universo, segnando l’irruzione del tempo del singolo essere umano nell’immensità dell’infinito. In questo miracolo della materia, che genera e pensa se stessa, permane il più grande mistero della vita.

Si è aperta la mostra “Mater. Percorsi simbolici sulla maternità”, fino al 28 giugno, al Palazzo del Governatore di Parma, curata da Annamaria Andreoli, Elena Fontanella e Cosimo Fonseca (catalogo L’Erma di Bretschneider).

L’evento si propone di esplorare l’aspetto sacrale e archetipico della maternità e il suo ruolo fondamentale nella cultura mediterranea attraverso una selezione di capolavori archeologici e artistici, provenienti da importanti musei e collezioni italiane.

L’essere umano, ricorda Focault, a differenza degli animali non ha istinti, neanche quello materno, ma è frutto di produzioni culturali che, in ogni momento storico, trasformano concetti, credenze, forme e modalità di vita. Ad ogni epoca che si affaccia sulla scena del mondo, da quella industriale a quella cibernetica, corrisponde una sorta di morte e di rinascita che richiede, inevitabilmente, la perdita e la trasformazione di sé in altri ordini di senso.

I curatori, nel progettare la mostra, sono partiti da un concetto polisemantico della “maternità” scandito entro contesti e sistemi sociali di diversificata tipologia e di variegata tradizione. A cominciare dal modello triadico che alla maternità collega indissolubilmente le capacità fecondante e l’impulso generante per proseguire con l’altro modello, scandito anch’esso entro un modello triadico, della paternità e della filiazione. Le cosmogonie, da quelle arcaiche a quelle di più raffinata elaborazione strutturale, ripetono questi modelli talvolta mutando o accentuando l’ordine gerarchico dei tre fattori che sono sociologicamente pregnanti e geneticamente funzionali, sino a quando si stabilizza un livello di acculturazione che alla maternità in quanto tale riconosce un indubbio e acclarato protagonismo.

La mostra si sviluppa attraverso quattro macro sezioni.

I sezione. Cosmogonie e Dee Madri: la Maternità della Terra e la Maternità  del Cielo. Dalle antichissime raffigurazioni delle Grandi Madri ‘steatopigie’ fino ai miti greco-romani il tema della fertilità e della maternità ha rappresentato per secoli la rappresentazione fisica del costante rapporto dell’Umanità con il Divino. Tra le opere di maggior importanza di questa sezione, sono esposti gli idoli femminili primitivi (Dea Madre) come la celebre “Venere di Svignano (Mo)” del Museo Etnografico Pigorini di Roma ma, soprattutto, la “Madre dell’ucciso di Urzei” del Museo Archeologico di Cagliari. Quest’opera si presenta di struggente fascino per composizione e suggestioni evocative. L’immagine materna, per il mistero, la densità di piani, le infinite sfaccettature che racchiude, ben si presenta, nel corso dei secoli, a veicolare una amplissima gamma di metafore. Prima di tutte, quella basata sulla corrispondenza tra la funzione generatrice della terra e quella della donna: come terra, la donna accoglie il seme, lo custodisce nel suo corpo, lo fa crescere e germogliare, lo riporta alla luce trasformato in frutto.

Per me sei figlio, vita morente,
ti portò cieco questo mio ventre
come nel grembo, adesso in croce
ti chiama amore questa mia voce
F.De Andrè, Tre madri,
da “La Buona Novella”

Nella stessa sezione seguono: l’Artemide Efesina dei Musei Vaticani, l’Ara con Eros del museo Regionale di Gela, i celebri Bambini in fasce (ex voto) del santuario di Vulci del II sec. a.C. del Museo Archeologico di Napoli. I misteri femminili legati al culto di Iside e di Demetra sono rappresentati dal busto di Iside in basalto della XXVI dinastia del Museo Egizio di Firenze e della preziosissima statua di Proserpina (III sec. a.C.) del Museo Civico di Lucera.

II sezione: Maternità Rivelata. In questa sezione viene espressa la decisiva svolta simbolica nella rappresentazione artistica della Maternità dopo il riconoscimento di Maria come Madre di Dio dal Concilio di Nicea nel 325 d.C. Partendo dall’esperienza artistico/religiosa delle icone bizantine presenti in mostra, il percorso si sviluppa dal Trecento toscano fino al XVII secolo con preziosi capolavori su tavola e celebri Madonne con Bambino da Filippo Lippi a Andrea Mantenga, da Pinturicchio a Rosso Fiorentino, dal Veronese a Tiepolo.

III sezione. Dalla Maternità Sacra alla Maternità Borghese. La trasformazione della famiglia in ambito borghese ottocentesco ha modificato l’ideale di sacralità della maternità. In questa sezione viene analizzato il forte equilibrio sociale creato dalla rivoluzione industriale che farà da sfondo al recupero della maternità come valore nuovo, qui ben esemplificato dai ritratti di genere di Francesco Hayez e di Domenico Induno fino alle magnifiche tele di Felice Casorati  (La famiglia Consolaro Girelli) e di Gino Severini (La maternità).

IV sezione. Il Secolo Breve: Emancipazione della Figura Femminile dai temi archetipici. La sezione sottolinea il tema della Maternità nell’arte del Novecento e delle sue avanguardie. Ne emerge non più una figura di madre astratta e chiusa in una propria femminilità sacrale, ma una figura in reale competizione con il quotidiano, in cui è la donna – affrancandosi dalla condizione esclusiva di madre – che determina nell’arte una variazione della propria iconografia. La maternità sacra si trasforma in femminilità deduttiva e il senso procreativo cede il passo a una rappresentazione estetica concettuale. La sezione si interroga sulla moderna ricerca artistica di un nuovo archetipo femminile attraverso le opere di Mimmo Rotella, Michelangelo Pistoletto, Max Kuatty, Bill Viola, Mat Collishaw, fino alla celebre icona del personaggio di Valentina di Crepax.

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