Eventi e cultura
31 Gennaio 2015
L'attore di nuovo nei panni di Leone Gala in una personale rilettura di Pirandello

Umberto Orsini, ironia e dramma ne “Il Giuoco delle parti”

di Redazione | 3 min

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(foto di Marco Caselli Nirmal)

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“Quest’uomo che in nome della ragione ha rifiutato il contatto con i suoi simili, quest’uomo che si è vuotato delle proprie emozioni e si è dedicato a una vita di reclusione dividendosi tra i libri e la cucina, metafora del vuoto e del pieno e che parla quasi continuamente di istinto e di ragione….. in fondo non è un uomo che … s-ragiona? E se così fosse, ci siamo chiesti, quale potrebbe essere la sorte riservata ad un uomo così sragionante una volta che il sipario si sia chiuso davanti a lui?”. Così Umberto Orsini nelle note di regia spiega il punto di partenza di questa riscrittura drammaturgica della commedia del 1918 di Luigi Pirandello ad opera sua, di Roberto Valerio e Maurizio Balò. In scena al Teatro comunale Abbado di Ferrara dunque va una “post-vicenda”: Leone Gala vive oltre il limite che la commedia gli ha assegnato e invecchiato va ossessivamente alla ricerca del suo passato, rivivendolo “come farebbe uno scrittore che voglia mettere ordine alle sue bozze”, cambiando la sequenza delle scene o addirittura sopprimendola.

I personaggi della storia sono visti da una diversa prospettiva: in un perpetuo altalenare tra presente e passato, sul palcoscenico appaiono quasi come fantasmi generati dalla mente di un uomo oramai vecchio e forse pazzo, ancorati a un pernio che li tiene in piedi a recitare la loro parte. Fin dall’inizio tutto è già accaduto e Leone ricostruisce la vicenda attraverso la sua memoria, ma a distanza di tempo, i suoi ricordi non possono che essere frammentati, distorti, offrendo dei fatti la sua visione, assolutamente parziale e soggettiva, ricostruendo nella sua testa anche momenti della vicenda che egli non ha realmente vissuto, in un amplificarsi dei piani del racconto. La regia di Valerio e la scenografia ideata da Maurizio Balò risolvono con una soluzione da manuale: una scenografia molto alta con pannelli scorrevoli, all’occorrenza semi trasparenti grazie a pochi cambi di luce si trasforma nell’interno della casa di cura dove il vecchio Leone è ricoverato e nell’abitazione di Silia o dello stesso Gala, mentre le scene del passato si fanno vive nel presente.

Leone, ora come allora, sta alla finestra a guardare vivere gli altri, invulnerabile al dolore, impenetrabile alla gioia: “faccio il più possibile per esserci il meno possibile”. Eppure mentre dialoga con Guido Venanzi, uomo moralmente e intellettualmente piccolissimo, suo amico ma anche amante della consorte, traspare un’ombra di amore e tenerezza per Silia, quella sua moglie-bambina. Silia è “… piena d’infelicità, perché piena di vita… non c’è salute né per lei né con lei”, insofferente della libertà concessale dal marito, si trasforma in un’Alcina che soggioga il proprio amante nel tentativo di vendicarsi, salvo poi rimanere intrappolata nel proprio incantesimo. Eccola, infine, far visita in ospedale al marito, che l’ha definitivamente battuta e abbattuta, e sibilare: “ci vogliono molti anni per capire di essere morti”.

(foto di Marco Caselli Nirmal)

(foto di Marco Caselli Nirmal)

Un’operazione coraggiosa quella di Umberto Orsini, che torna a “Il giuoco delle parti” a distanza di una quindicina d’anni dalla messa in scena di Gabriele Lavia per il Teatro Eliseo. In questa nuovo allestimento si punta sullo smascheramento delle relazioni, sempre sul filo del rasoio fra l’ironia dell’apparenza borghese e il dramma della solitudine dell’essere umano, rendendo evidente ancora una volta come Luigi Pirandello riesca a esprimere la lucida consapevolezza della messa in crisi delle verità assolute. Per questo tornare a Pirandello è un atto dovuto ancora oggi, in un’epoca problematica come non mai, che ci costringe tutti a ripensare alle nostre vite mettendo in discussione le nostre certezze.

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