Morìa di pesci, tutto parte dai ‘nutrienti’ del Po
Le probabili cause di un fenomeno già noto che ha assunto ai lidi quest'anno un'intensità straordinaria
La morìa di pesci e molluschi avvenuta recentemente su alcuni tratti del litorale, pur essendo di intensità straordinaria rispetto al passato, è un fenomeno già conosciuto che ha cause ben precise. “Così intensamente non mi risulta si fosse mai verificato – commenta Giuseppe Castaldelli, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie dell’Università di Ferrara – e di solito la situazione si verifica più tardi, a metà agosto. L’intensità è sorprendente e non è escluso che si ripeta. Ciò che ho saputo da Arpa è comunque ragionevolissimo, perché è vero che non c’è un inquinamento in atto di tipo acuto e che si tratta di un fenomeno naturale”.
E’ una considerazione da esperto, quella fornita da Castaldelli, esclusivamente di tipo culturale, come lui stesso intende precisare. Quindi non un vero e proprio parere, “perché i pareri si danno sui numeri, di cui non dispongo in quanto li stanno raccogliendo i tecnici Arpa”.
Il fenomeno è già accaduto circa quindici giorni fa in laguna di Venezia, con rilevante epidemia di pesce giunto fino nel Canal Grande, successivamente nella Valle di Gorino e poi in vari punti della costa ferrarese (Lidi di Volano, Nazioni, Pomposa e Scacchi) e ravennate, a Casal Borsetti. Si tratta di morìe causate dalle crisi anossiche (totale assenza di ossigeno disciolto nella colonna d’acqua) e quindi da condizioni non idonee alla vita degli organismi che vivono a stretto contatto dei fondali, in particolare molluschi e piccoli pesci. L’anossia delle acque è stata rilevata anche dalla rete di monitoraggio che gestisce la Provincia di Ferrara, nella stazione di monitoraggio in mare al termine della diga foranea di Porto Garibaldi, e in Sacca, nelle varie stazioni dove l’ossigeno, soprattutto durante la notte e le prime ore del mattino, raggiunge valori prossimi allo zero e le temperature dell’acqua hanno raggiunto i 33 gradi centigradi in laguna e i 30,5 in mare.
“Ciò che potrebbe aver reso il fenomeno particolarmente acuto – spiega Castaldelli – è il maggior contributo di nutrienti dal Po, che è stato in piena per due mesi e mezzo apportando fosforo e azoto verso il mare, quindi il caldo anomalo successivo”. Fattori che hanno prodotto condizioni eutrofiche con produzioni di biomassa abbondanti (alghe e fitoplancton) e successivamente condizioni distrofiche, dovute alle alte temperature e ridotto idrodinamismo, che portano alla decomposizione degli organismi vegetali, con il conseguente consumo della maggior parte di ossigeno presente nell’acqua.
I fenomeni infatti, come spiega un comunicato della Provincia, sono principalmente localizzati in aree a ridotto idrodinamismo (scarsa circolazione delle acque): ad esempio in Sacca di Goro, in particolare nella Valle di Gorino, dove per cercare di limitare e ridurre il fenomeno la Provincia ha attivato 10 pompe, tuttora in funzione, per indurre una circolazione forzata e impedire che l’acqua anossica generata venga spostata verso le aree produttive della laguna, nelle aree retrostanti le scogliere, lungo il litorale e a Casal Borsetti.
“La sommatoria delle attività umane – aggiunge il ricercatore Unife – fa sì che da tempo, almeno una trentina d’anni, vi sia un consistente apporto di nutrienti in mare. Basti pensare al fenomeno delle mucillagini negli anni ’90, ad esempio. E quando l’acqua viene continuamente degradata, se le temperature poi raggiungono queste punte, l’intensità del fenomeno si accentua fino a questi livelli”.
“Per cercare di ridurre il problema occorrerebbe limitare il fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque costiere – spiega la dirigente del settore Ambiente ed Agricoltura della Provincia, Paola Magri – che significa limitare il consistente apporto di nutrienti che derivano dall’intero bacino del Fiume Po”.