Cronaca
16 Maggio 2013
Il falso in bilancio è provato ma non può essere collegata al dissesto

Coopcostruttori, le motivazioni della sentenza

di Marco Zavagli | 3 min

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admin-ajax.phpIl falso in bilancio è provato. Ma la condotta, che come reato è ormai depenalizzato, non può essere contestata agli imputati Coopcostruttori perché “non ha causato o aggravato il dissesto” dell’azienda. In 288 pagine il tribunale spiega i motivi che hanno portato lo scorso 15 febbraio alle sentenze di condanna e di assoluzione per il maxi crac della cooperativa argentana (vai all’articolo).

Caduta l’ipotesi più grave dell’associazione a delinquere (ci fu solo “concorso nel reato”), il presidente del collegio dei giudici Francesco Caruso chiarisce che per quanto riguarda il capo B, l’imputazione di bancarotta fraudolenta, “il fatto non sussiste” dal momento che “la falsificazione dei bilanci” e “l’operatività in perdita” non sono collegabili al dissesto finale.

Vero è che “il falso in bilancio ha determinato in concreto, per quanto riguarda la posizione dei soci un aumento del prestito sociale di circa 20 milioni di euro dal ’94 al 2002”, ma di tale somma “solo una percentuale variabile negli anni è stata bruciata a causa delle inefficienze della cooperativa”. Non sussiste nemmeno il nesso causale tra emissione di Apc e dissesto, pur riconoscendo che “l’operazione si è basata sull’inganno dei potenziali sottoscrittori mediante la prospettazione in bilancio e nelle assemblee di un situazione economica e patrimoniale non veritiera”.

Lo stesso vale per il capo di imputazione relativo all’emissione di fatture in relazione a stati di avanzamento lavori in realtà non ancora maturati e la presentazione delle stesse presso le banche per ottenere l’anticipo”. Il fatto non sussiste per identici motivi.

A pesare, e molto, invece sulle condanne è stato il capo E relativo all’acquisto della Spal. Qualcosa come 38 milioni di euro dissipati per ripianare le perdite della Spal. “Dal ’93 al 2002 la cooperativa – ricostruisce il giudice – ha sistematicamente, ogni anno, ricapitalizzato la controllata ripianando le relative perdite”. Un’attività inoltre che non si dispiegava in favore dei soci lavoratori e non aveva attinenza con l’attività d’impresa svolta. Una acquisizione imposta dal Pci per mano di Soffritti, come placidamente confermato dallo stesso ex sindaco in aula quando venne sentito come testimone. E che nemmeno garantì un significativo ritorno pubblicitario. Donigaglia disse che non poteva declinare l’‘invito’, ventilando il rischio di essere rimosso dalla presidenza o di poter incorrere in ostacoli nell’aggiudicazione di appalti. “Scuse” che non reggono all’impianto accusatorio, vuoi perché il patron non venne sottoposto a pressioni tali da configurare un’estorsione, vuoi perché era “inverosimile” in sostanza un qualsiasi ritorno di immagine. E c’è da ricordare poi che “anche quanto Coopcostruttori ha dismesso le partecipazioni nella società sportiva ha continuato a erogare denaro”.

Ecco quindi la responsabilità per bancarotta dissipativa. Alla quale si aggiunge quella per bancarotta preferenziale: “la distrazione di somme di denaro dal ’95 al 2003 mediante il rimborso ai soci delle quote di capitale sociale e delle Apc” avvenne in modo arbitrario. Un profilo di bancarotta di cui “sono responsabili Donigaglia, Ricci Maccarini e i tre sindaci Angelini, Baldini E Calzolari. I primi due erano gli artefici del modo in cui erano tenute le scritture contabili, i sindaci erano responsabili per omesso impedimento delle irregolarità contabili di cui erano pienamente consapevoli”.

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