È morto Giulio Andreotti. I familiari hanno comunicato che il decesso è avvenuto oggi alle 12.25 nella sua abitazione di Roma. Aveva 94 anni. La sua assenza alle votazioni per il nuovo presidente della Repubblica (la prima da quando è nata la Repubblica) aveva fatto insospettire i più.
Sette volte Presidente del Consiglio, sedici volte ministro in diversi dicasteri, sempre presente dal 1945 in poi in parlamento (a 28 anni era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio), Andreotti vide oscurata la sua immagine politica dal processo per concorso esterno in associazione mafiosa intentatogli nel 2003 dalla Corte d’Appello di Palermo. Venne assolto per prescrizione, ma le motivazioni della sentenza parlarono di “concreta collaborazione” con esponenti di spicco di Cosa Nostra fino alla primavera del 1980. Fatti troppo antecedenti per l’ordinamento italiano per essere ancora punibili, tanto che la Corte decretò il “non luogo a procedere”.
Il nome di Andreotti-belzebù (come venne apostrofato dall’allora presidente del consiglio Bettino Craxi) tornò più volte nelle parole di pentiti e nei fascicoli degli inquirenti, associato spesso ad alcuni degli episodi più bui dell’Italia, dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (dopo l’assoluzione in primo grado la corte di appello lo condannò a 24 anni come mandante, ma nel 2003 la Cassazione annullò senza rinvio la sentenza) ai contatti con Sindona, dai rapporti con Licio Gelli e la P2 al Memoriale Moro, fino al golpe Borghese. L’unica vicenda che lo ha visto soccombere definitivamente in giudizio è quella, di minor rilievo, relativa a un processo per diffamazione nei confronti del giudice Mario Almerighi, nel 2010.
La sua ultima visita a Ferrara risale al 3 dicembre 2003. Al teatro comunale comparve la sua silhouette inconfondibile. Su invito della Fondazione Zanotti (che di lì a breve, nell’ambito di un ciclo di lesioni di politica mai realizzato, voleva chiamare in città Lech Walesa, Helmut Köhl, Massimo D’Alema), Andreotti salì letteralmente in cattedra, improvvisato maestro di fronte a banchi occupati da studenti chiamati a fare gli straordinari di sera. Il suo era il primo della serie di incontri dall’ambizioso titolo ‘Scuola di politica’, organizzata dalla fondazione vicina ideologicamente a Comunione e Liberazione. Quella sera non mancava nessuno in quella che si tramutò anche in una rimpatriata di nostalgici della vecchia democrazia cristiana ferrarese. Tutta la nomenklatura degli anni d’oro, Nino Cristofori su tutti, ex delfino del Giulio nazionale, rese onore al proprio generale appena uscito incolume dalle vicende giudiziarie che l’avevano visto protagonista.
Chiamato a illustrare il tema ‘L’io e il potere’, Andreotti si caricò sulle inconfondibili spalle l’intero peso dell’argomento e rispose senza rinunciare a punte di sottile ironia, una tra le tante caratteristiche che l’hanno reso celebre. Bersaglio privilegiato fu l’allora premier Silvio Berlusconi. «Se nel ventennio – pontificò nell’occasione – lo slogan era ‘qui non si fa politica, si lavora!’, oggi si rischia di non far politica e nemmeno lavorare». Ed ancora: «Se il Duce avesse avuto la tv chissà che propaganda sarebbe riuscito a montare». Una frecciata anche alla Mussolini’: «Fortunatamente – ha pungolato Andreotti – noi non abbiamo nonni da dover rispettare come l’onorevole Alessandra Mussolini». Il compito a casa consegnato dal ‘maestro di politica’ riguardava il futuro della Repubblica: «Senza politica non si costruisce un avvenire sicuro – ammonì -. Per questo non si può sacrificare la partecipazione in nome della governabilità. Riducendo la rappresentanza in favore dell’accentramento dei poteri, si rischia di commettere gli stessi errori che portarono al fascismo».
I funerali del senatore a vita si svolgeranno domani pomeriggio nella Capitale.
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