Eventi e cultura
12 Aprile 2013
Bis obbligato per la pellicola sul cinema a luci rosse di Ferrara

Mignon, non solo porno

di Elena Bertelli | 4 min

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Il regista Massimo Alì Mohammad (foto di Valerio Spisani)

Bis obbligato mercoledì sera alla Sala Boldini per la prima première ferrarese del docufilm ‘Mignon’ di Massimo Alì Mohammad. In sala, prima della proiezione delle 21, non era rimasta una sola poltroncina libera. Il pubblico se ne è stato accalcato in piedi contro le pareti laterali, finché non è stata annunciata una seconda proiezione straordinaria delle 22.30.

‘Mignon’ e il suo regista sono stati introdotti dalle parole di Matteo Buriani, mente del cineforum di Zuni: «…conosco Alì per essere uno spettatore curiosissimo, non solo in ambito cinematografico, ma anche nei confronti della città di Ferrara». Effettivamente la cosa che colpisce maggiormente alla visione di questa prova d’artista è l’immagine di una città fatta in un modo che le persone di una certa età forse avevano dimenticato, mentre le persone più giovani proprio non conoscevano, fatta di artigiani sinceri, consapevoli di lavorare per procurare piacere alla gente, con dedizione e rispetto.

Massimo Alì Mohammad ha appena 30 anni e, da quando è arrivato a Ferrara nel 2009 per motivi di studio, ha coltivato una passione per la storia non convenzionale della città, fatta di luoghi frequentati da pochi, di botteghe in via d’estinzione, di personaggi che vivono nell’ombra. È stato passando per caso davanti al Mignon che si è accorto della sua esistenza e ha deciso di approfondire la faccenda.

Così ne è nato un docufilm – autoprodotto e supportato dall’Associazione Feedback video – oggi in tournée per le sale della Regione nell’ambito della rassegna Doc in Tour.

mignon2Il cinema a luci rosse, protagonista del documentario, ha sede nella chiesa sconsacrata al civico 18 di via Porta San Pietro (vedi intervista a Massimo Alì Mohammad). Questa è la prima particolarità che salta agli occhi dello spettatore, la prima forte contraddizione. Attraverso un dialogo serrato tra immagini rubate e interviste a personaggi più o meno noti in città, il regista non solo racconta la storia di questo luogo  sui generis, ma documenta senza pregiudizio un pittoresco spaccato di ‘ferraresità’ e fa una panoramica sulla storia delle sale cinematografiche, inserendo immagini di repertorio e ricordi di chi il ‘Diana’ e il ‘Ristori’ li ha vissuti e avviati. Luoghi che, forse anche a causa del tragico incendio del cinema Statuto di Torino nell’83, hanno, via via, iniziato a scomparire.

Il lavoro di Mohammad si apre su una sequenza di inquadrature puntate sul dettaglio delle azioni necessarie a montare una pellicola, rese incalzanti di quei clang clang metallici che accompagnano i gesti dell’uomo e ne determinano il ritmo. Il tempo del racconto è quello di una giornata di lavoro, dall’apertura delle porte d’ingresso, alla loro chiusura dopo l’ultima proiezione. Nel mezzo un tripudio di contrasti. Il regista ha inserito le interviste agli addetti ai lavori – Michele e Franco Poletti, i gestori dell’attività, diversi proiezionisti, bigliettai e cassieri – che lasciano spazio a qualche scena di nudo, mal celato ma mai di cattivo gusto, ironico, semmai.

Altri interlocutori inaspettatamente entrati a far parte del cast sono personalità note in città, come lo storico Francesco Scafuri, cui è affidata la ricostruzione del passato dell’edificio, e il pittore Gianni Vallieri, che non risparmia aneddoti folkloristici.

Più sporadici sono gli interventi dei frequentatori abituali, cui scappa di mostrare alcuni centimetri di pelle senza identità.

Il regista crea così un dialogo tra chi presta il servizio e chi ne usufruisce, dal quale emerge un insieme di rapporti e relazioni dal sapore autentico, vicendevolmente rispettoso che non conosce pregiudizio.

mignon3A dare ritmo alla narrazione è soprattutto l’alternanza tra storie di fuga dall’emarginazione, che portano i protagonisti a trovare nel chiuso di una sala a luci rosse quell’accettazione di sé necessaria a liberarsi dalle inibizioni, e aneddoti divertenti e mai volgari, come l’elenco dei soprannomi dati ai clienti abituali – tra gli assidui frequentatori si ricorda ‘Comacchio’, così soprannominato perchè entrava in sala con gli zoccoli di legno.

Senza svelare altro di questo racconto di una Ferrara che non ti aspetti, basterebbe soffermarsi sul lungo applauso del pubblico al termine della proiezione, per testimoniare l’apprezzamento unanime dell’opera. Ma ci piace concludere riportando le parole di ringraziamento dell’autore stesso, che, con voce emozionata ha confessato la più grande soddisfazione avuta da questa serata: «con il mio docufilm sul ‘cinema di quart’ordine’, sono riuscito a riportare la folla in una storica sala cinematografica del centro città – Sala che  rischia di essere dismessa a causa della conversione dei cinema al digitale [ndr]. Questo film è dedicato a Michele e Franco che sono qui presenti e a Nello che è al Mignon a proiettare. Andate al cinema!».

Mentre sono in programma le prossime proiezioni di ‘Mignon’ in altre città della Regione nell’ambito di Doc in tour, si attende l’uscita di nuovi lavori diretti da Massimo Alì Mohammad: un documentario girato nelle botteghe artigiane ferraresi in via d’estinzione e un cortometraggio realizzato con le autrici e performer Alice Occhiali e Denise Ania dal titolo ‘Apologia del Distacco’, ispirato alle poesie di Emily Dickinson, ambientato in diversi luoghi della Provincia, tra la Rocca di Stellata e Villa Bighi a Copparo.

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