Cronaca
17 Gennaio 2013

“Cona, inchiesta malata terminale”

di Marco Zavagli | 3 min

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fotoSe per la procura l’ospedale di Cona è nato vecchio, per la difesa è l’inchiesta su di esso a essere “malata terminale”. L’avvocato Lorenzo Valgimigli ha mutuato una metafora dal mondo della medicina per descrivere lo stato di saluto di un’indagine a suo modo di vedere “lacunosa, vecchia, moribonda”. “Un malato terminale – ha detto davanti al gup Silvia Marini in sede di arringa – al cui capezzale si sono dovuti raccogliere più sostituti procuratori (al pm titolare del fascicolo, Patrizia Castaldini, si unirono in seguito Nicola Proto e Barbara Cavallo, ndr) per cercare di tenerla in vita”.

Gli imputati assistiti da Valgimigli, Fulvio Rossi e Carlo Melchiorri, hanno rilasciato dichiarazioni spontanee. Il primo per chiarire la distinzione di funzioni tra collaudo statico e collaudo amministrativo. All’ingegnere capo del Comune di Ferrara competeva quest’ultimo, mentre l’addebito contestatogli dalla procura riguarderebbe la funzione statica. Per quanto riguarda Melchiorri, il direttore dei lavori ha rivendicato la bontà del proprio operato, rigettando l’accusa di essere stato “compiacente” con l’impresa esecutrice dei lavori. Tanto che fu lui a costringere la stessa a demolire e ricostruire migliaia di metri quadrati di solai non eseguiti a norma, con conseguenti costi a carico dell’azienda privata. Azienda che, riferisce Melchiorri, avrebbe anche voluto la sua rimozione in quanto “scomodo”.

Tutte le accuse nei loro confronti si reggerebbero, secondo Valgimigli, “su un’ipotesi iniziale che si potesse essere costituita una associazione a delinquere (tale era una delle prime accuse uscite da Via Mentessi, ndr) che arrivava fino in Regione, amministrazione competente in materia di sanità”. Caduta quell’ipotesi, “hanno scelto il teorema del progetto incompleto”.

Ma, secondo Valgimigli, “quel progetto non era lacunoso e in aula ho spiegato la ragionevolezza delle varianti adottate vuoi per adeguare la struttura alle normative antisismiche (e qui il maggior collaudo possibile lo abbiamo avuto con il terremoto che non ha danneggiato l’ospedale); per rispettare la norma europea sui gas medicali; per permettere all’ospedale di essere al passo con i tempio in materia di nuove tecnologie e terapie”.

Le arringhe difensive sono proseguite con gli interventi di Michele Ciaccia e Romano Guzzinati, avvocati di Giorgio Beccati (responsabile unico del procedimento). I legali hanno contestato l’utilizzabilità delle intercettazioni nei confronti del proprio assistito, perché “carenti di motivazione e di evidenza della responsabilità – spiega Ciaccia -: non c’erano elementi per giustificare né la loro autorizzazione né la loro proroga”. Quanto ai presunti falsi commessi, “c’è un equivoco interpretativo tra vecchie e nuove normative relative alla verifica dei documenti che venne fatta. Quindi nessun falso è stato commesso”. Anche perché, ha aggiunto Guzzinati, “il rup non aveva poteri di iniziativa, ma solo di vigilanza e di informativa ai superiori”.

Hanno concluso il fuoco di fila della difesa gli avvocati Dario Bolognesi e Claudia Pelà per Andrea Benedetti (componente della commissione di collaudo imputato di abuso d’ufficio). Quell’ipotesi di reato, secondo Bolognesi, “è un errore del capo di imputazione perché si tratta non di norme imperative, ma di indicazioni utili al raggiungimento di uno scopo. Lo scopo era quello di ottenere una durabilità di almeno 100 anni e questo è stato ottenuto, come verificato nella dettagliata relazione depositata dal progettista Mezzadri. Di conseguenza la commissione di collaudo ha fatto il proprio dovere senza omettere alcun controllo. Crediamo che il giudice debba a questo punto emettere sentenza di non luogo a procedere perché anche un dibattimento, alla luce di quanto emerso in sede di indagini e cristallizzato nella perizia della procura, sarebbe inutile”.

La risposta all’avvocato Bolognesi arriverà il 6 febbraio, quando arriverà la sentenza del giudice.

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