di Maria Paola Forlani
“Il senso delle cose ha nel pennello”, dice l’Aretino di Tiziano; e le cose che ha negli occhi e nel pennello non sono per Tiziano soltanto le caratteristiche fisionomiche o quelle psicologiche dei personaggi che ritrae nella ricchezza e nella pompa dei costumi; esse sono anche il ceto sociale, il complesso della personalità, il temperamento e il carattere ideali che le distinguono e le rendono vive.
Tiziano si afferma nella società del suo tempo come sommo ritrattista grazie alla sua capacità di cogliere il carattere ideale dei personaggi rappresentati, fornendo una verità, anche se a volte alquanto spietata testimonianza della realtà spirituale. Come nel caso del Ritratto di Paolo III con i nipoti che, per il significato critico e per la profondità dell’indagine psicologica, si configura come uno straordinario documento umano e politico che può essere accostato, in questo senso, soltanto alla beffarda e crudele rappresentazione della famiglia di Carlo IV di Fracisco Goya.
L’occasione per riflettere ulteriormente sull’arte del Vecellio e sul suo modus operandi, per lasciarsi sorprendere una volta di più, è data ora dalla straordinaria esposizione al pubblico e agli studiosi – per la prima volta – di dipinti inediti provenienti dal Regno Unito e ricondotti senza alcun dubbio alla mano del grande Cadorino da alcuni massimi studiosi del Vecellio.
A Padova presso i Musei Civici agli Eremitani, la mostra “Tiziano e Paolo III. Il Pittore e il suo modello”, promossa fino al 30 settembre, curata da Andrea Donati e Lionello Puppi (catalogo Andreina Valneo Budai Editore) offre un momento di grande emozione e di indubbio interesse a livello internazionale proprio perché ci pone di fronte a un nuovo tassello della vicenda artistica di Tiziano, attraverso due lavori finora sconosciuti e di grande qualità.
Da un lato un Autoritratto del maestro, un impressionante olio su carta proveniente dalla collezione della Casa Reale di Hannover, singolare per l’impostazione per niente aulica e auto celebrativa, dall’altro un superbo Ritratto di Paolo III senza camauro che si viene ad aggiungere come “originale multiplo”, agli esemplari noti in cui il Pontefice appare senza copricapo: la versione più nota, che risale al 1543 e fu consegnata dallo stesso Tiziano al Papa a Busseto, dove doveva incontrarsi con l’Imperatore, e conservata a Napoli al Museo di Capodimonte.
Il bellissimo Ritratto di Papa Paolo III senza camarro (olio su tela 128 x 98) viene ricondotto da Andrea Donati – come già si accennava – nell’alveo del famoso dipinto di cui Tiziano fu incaricato, in occasione del pontefice in Emilia nel 1543.
Si tratta di una commissione dedicata. Paolo III aveva affidato in precedenza la diffusione della propria immagine a numerosi altri artisti e nello stesso tempo vi era una tradizione iconografica ormai assestata che lo stesso Tiziano aveva contribuito a fissare con i suoi ritratti dei potenti. In questo caso però il Pontefice non chiedeva un dipinto da esibire a Palazzo Farnese ma un manifesto vero e proprio del suo atteggiamento, l’opera rientrava cioè nella partita diplomatica che il Farnese stava giocando con Carlo V e lo scopo era di mostrarsi all’imperatore pronto a chinare il capo e ad aprire la borsa, per ottenere l’investitura di Parma e Piacenza ma anche del Ducato di Milano.
Tiziano, stando ai racconti di Giovio e di Vasari, raggiunse il Pontefice a Ferrara e da quel momento si unì alla corte papale che si diresse prima a Bologna e poi a Parma, per arrivare a Busseto il 21 giugno. Il ritratto, che pare non sia stato neppure pagato a Tiziano, suscitò un plauso universale e la reputazione del Vecellio salì alle stelle, tanto che molti nobili e religiosi dell’enturage ne richiesero una copia. Per cui il notevole dipinto portato ora all’attenzione della critica e del pubblico, sarebbe un ulteriore esemplare del ritratto realizzato in quel contesto, non una copia di bottega ma una “replica d’autore” eseguita dallo stesso maestro e con una ragione compiuta.
Viceversa nell’inedito “ Autoritratto” ad olio su carta, presentato in mostra accanto al Pontefice, Tiziano appare per così dire in abito dimesso, in giubba e berrettaccio, come lo si ritrova in una xilografia di Giovanni Britto, ma anche nel bronzo sansoviniano della Sacrestia di San Marco.
Nell’esposizione padovana “ Paolo III” appare seduto sulla “carega” di legno tappezzata di velluto scarlatto, con la tunica bianca e la cappa di velluto rosso e il capo scoperto, una mano appoggiata sul bracciolo della seggiola e l’altra sulla borsa stretta in vita, guarda diritto allo spettatore; mentre lui, Tiziano scruta in modo enigmatico il soggetto che egli stesso ha ritratto in ossequio al suo eminente rango: il maggiore e il più controverso Pontefice del Rinascimento che, come scrive Davide Banzato “forse in cuor suo temeva ed era costretto a rispettare senza un intimo apprezzamento”.
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