Vigarano. Stava aspettando il treno per andare in vacanza ad Arco di Trento, seduto nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, quando – alle 10.25 di quel sabato 2 agosto 1980 – l’esplosione della bomba spezzò la sua vita e quella di altre 84 persone innocenti, vittime del più grande massacro del dopoguerra italiano.
È morto così Paolino Bianchi, 49enne muratore di Castello di Vigarano, ricordato questa mattina (mercoledì 2 agosto) nel 43esimo anniversario della strage di matrice neofascista, con un corteo che dal municipio si è snodato fino al cimitero di Vigarano Mainarda, dove oggi riposa ciò che rimane del suo corpo dilaniato dallo scoppio dell’ordigno.
A nome dell’amministrazione comunale, a deporre un mazzo di fiori sulla tomba sono stati gli assessori Daniela Patroncini e Francesca Lambertini, prima della benedizione da parte del sacerdote della parrocchia locale. Presenti alla cerimonia, oltre ai carabinieri, all’Associazione Nazionale Bersaglieri e ai volontari della protezione civile, anche i rappresentanti delle opposizioni in Consiglio Comunale: Agnese De Michele, capogruppo di Costruiamo il Futuro Con Te, e Olao Guidetti di Viviamo Vigarano.
“Vogliamo rinnovare la memoria di quel momento terribile – ha esordito Patroncini – che non ci dà consolazione. È stata una destabilizzazione per tutti: per i singoli, per la comunità e per il Paese. Quello odierno è un anniversario che, come tale, si ripete ogni anno, ma dovrebbe essere indelebile per l’atto terribile che si è consumato, con ottantacinque persone che in un attimo hanno perso tutto. A queste barbarie è difficile dare spiegazione, se non affidandoci al Signore e all’abbraccio di chi rimane. L’obiettivo è quello di portare avanti un sentimento collettivo che tenga in vita un’esistenza che non vuole rimanere anonima ma vuole restare importante. Oggi, sotto i colori di agosto, c’è un nero che rimane e deve essere un insegnamento e una forza per noi. Dovremo essere bravi a tramandarlo alle nuove generazioni, entrando nelle scuole e abbracciando la sensibilità dei ragazzi che sono i nostri piccoli semi per costruire il futuro”.
Come ogni anno, ad attendere l’arrivo del corteo al cimitero, c’era Liliana Lodi, parente di Paolino, che ha ricostruito i suoi ultimi istanti di vita: “Quando esplose la bomba lui si trovò purtroppo proprio sul fulcro dello scoppio. Aveva lasciato il suo scooter in stazione a Ferrara e aveva preso il treno per Bologna, dove lo aspettava la coincidenza per andare in vacanza ad Arco. Eravamo d’accordo che, una volta arrivato, avrebbe fatto una telefonata al centralino del paese e poi mandato una lettera per avvisare la madre. Ma nulla di tutto ciò arrivò. Una settimana più tardi dall’attentato venne quindi il dubbio a un’amica di famiglia che fosse rimasto coinvolto nella strage e infatti fu così. La mamma partì per andare a Bologna e lo identificò da un’unghia nera che si era procurato dopo che un sasso gli finì sopra a un dito del piede, mentre pescava in un macero. Oggi quello che rimane di lui, che è l’85esima vittima della stazione, è tutto questo. Niente di più“.
Il ricordo di quella strage e di quell’aria che sapeva di dolore, distruzione e morte torna anche nei ricordi di Romerio Sitta, oggi volontario della protezione civile e a quel tempo radioamatore che, il 2 agosto di 43 anni fa, stava aspettando fuori dalla stazione l’arrivo di sua sorella e suo nipote da Milano: “Fortunatamente persero il treno e sarebbero dovuti arrivare alle 11.05. Quindi decisi di abbandonare il binario e attenderli fuori nel piazzale. Poi, quando uscii, dopo aver percorso il sottopasso, scoppiò l’inferno. Quello che ho visto è ancora oggi massacrante, soprattutto nel ricordare gli autobus che caricavano le persone in condizioni gravissime, che sanguinavano da tutte le parti”.
“Da radioamatore – ha aggiunto – riuscii a fare un collegamento dalla mia radio con un altro radioamatore che stava dalle parti dell’ospedale Sant’Orsola, in modo tale da permettere ai primi parenti che arrivavano sul posto di sapere, dopo aver avuto nome e cognome dei loro cari, se fossero o meno ricoverati lì o da altre parti. Grazie all’aiuto di quel ragazzo sono anche riuscito a telefonare a casa, dopo avergli dettato il numero, e a lui dissi di riferire ai miei che ero vivo e che sarei rimasto ad aiutare, perché nemmeno le linee telefoniche erano utilizzabili. I miei genitori pensavano al peggio dopo aver visto alla televisione quella macelleria“.
“Oggi il mio animo non può che essere molto triste, specialmente per una giustizia che ancora non ha fatto quello che doveva fare. Spero che un giorno arrivi la verità, ma hanno secretato troppe cose” ha concluso Sitta.
La mattinata di celebrazioni è poi proseguita con la delegazione vigaranese che ha preso parte alla manifestazione in programma a Bologna per ricordare gli 85 morti e le 200 persone ferite durante una delle stragi più sanguinolente che hanno per sempre segnato la storia politica e sociale italiana dal dopoguerra ai giorni nostri.
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