L'inverno del nostro scontento
30 Gennaio 2023

Il “caso Ariosto”: dalla post-verità alla verità del post

di Girolamo De Michele | 8 min

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Una premessa: in questo blog quasi mai ho trattato questioni personali, e non lo farò neanche ora. Quello che è accaduto al Liceo Ariosto lunedì 23 non è una questione privata, e non è circoscrivibile nei soli spazi del Liceo: riguarda un modo di intendere la politica (nel senso nobile del termine), e l’uso del linguaggio. E questo blog ha sempre trattato (anche quando non era esplicitato) della peste del linguaggio che ha ormai pervaso la sfera pubblica, senza far sconti ad alcuno.

Per chiarezza: io sono uno dei docenti sottoscrittori del documento di 136 lavoratori del Liceo Ariosto, docenti e non docenti. Se non ho manifestato immediatamente la mia opinione (anche se mi è stato chiesto), è perché sono abituato a dare al pensiero e alle parole il tempo opportuno, che non è scandito da quello dei social; e anche, perché sono abituato ad accendere il cervello e connetterlo alla bocca, prima di parlare. Aggiungo che non pochi fra noi docenti quel lunedì avrebbero preferito rimanere in silenzio, per la perdita di un caro amico e collega molto conosciuto e molto amato, di cui fra la notte e il primo mattino avevamo appreso la scomparsa – ma tant’è…
E quindi ho atteso che la discussione fra colleghe e colleghi, e le testimonianze raccolte da chi era fisicamente presente, dunque testimone oculare, si concretizzassero in una dichiarazione comune. Era mio dovere, sia perché, mi piaccia o meno, sono un pubblico ufficiale, sia perché su di me, come su colleghe e colleghi, è stata immediatamente posta la spada di Damocle dell’intervento di avvocati dalla parte avversa. Immediatamente: cioè sin da quando m.me MM, dopo essersi allontanata sottraendosi al confronto, è ritornata indietro urlando a pieni polmoni e minacciando o promettendo l’intervento dei suoi legali. Spiace che questa intemerata non figuri nelle ricostruzioni proposte; così come non figura il dissenso che si stava manifestando da parte di alcuni studenti (la riporto al maschile, perché così mi è stato testimoniato da ragazz@ presenti all’assemblea) per la deriva che aveva preso l’assemblea, della quale un ospite esterno stava di fatto espropriando la conduzione a studentesse e studenti. Non per la prima volta, aggiungo.

Infine: se ho firmato quel documento, è perché ciò che si afferma converge e coincide con le testimonianze e resoconti che mi sono stati fatti, sin dal pomeriggio del 23, da student@ e collegh@ (docenti e non), e da ultima, ma senz’altro di massimo rilievo, da una testimone presente per svolgere lavoro culturale (parrà strano a m.me MM, ma nel Liceo Ariosto ciò accade quotidianamente), la cui onestà intellettuale non può essere messa in discussione, e che ha pubblicamente testimoniato sulla sua pagina fb. Aggiungo che tra i firmatari vi sono tutte le RSU, che afferiscono a tre diverse sigle sindacali (FLC, SNALS, Gilda).

Per prima cosa, vorrei sottolineare che è indubbio che quello che ipocritamente viene ora definito “esperimento sociale” (è educativo anche questo modo di gettare il sasso e poi nascondere la mano dietro le parole) fosse una violazione della privacy. Lo dimostra in modo inequivoco il fatto che in una precedente assemblea al Liceo Ariosto (si era nel 2019) sul tema dell’omogenitorialità l’ospite dell’Arcigay presente fece partecipare studentesse e studenti a un sondaggio attraverso un sito col quale si poteva interagire anonimamente col cellulare, in modo – come sottolineò – da tutelare la privacy di chi intendeva rispondere alle domande. Senza spettacolarizzazioni inutili o dannose: quell’ospite aveva a cuore la buona riuscita della comunicazione, cioè il fine politico dell’assemblea, non l’affermazione del proprio ego ipertrofico.

In secondo luogo: non trovo, ed è grave, alcuna parola – al di fuori del documento dei lavoratori del Liceo Ariosto – sulle gravissime e inaccettabili dichiarazioni fatte da m.me MM, che ha indicato – meglio: etichettato – una soggettività non presente come “gay”.

Si sappia dunque che l’Arcigay di Ferrara è presieduto da una persona (uso il latino, che è lingua precisa) che ogni qual volta perde la brocca si ritiene in diritto di fare outing su una soggettività che le risulta, o le sembra, o si figura, o s’immagina essere “gay”, indipendentemente dal fatto che tale soggettività non ha mai fatto (posto che ce ne fosse il caso e l’intenzione) coming out.

Questa è la persona che discetta di privacy, e che fa rivoltare nella tomba Bassani malmasticando le sue pagine e i suoi personaggi.

Inoltre, a tale soggettività è stata attribuito il merito del clima di tolleranza che si respirava un tempo all’Ariosto, e che oggi si sarebbe perduto: tale per cui alle/ai docenti del Liceo è stato intimato di vergognarsi. È gravissimo affermare che uno stile di vita e una condivisione di valori siano determinati da scelte, orientamenti o gusti sessuali, quali che siano (vedi alla voce: sessismo). Ed è gravissimo che si possa pensare che uno stile e un clima siano calati dall’alto da un singolo dirigente, e non da una condivisione di pratiche, valori e linguaggi di decine e decine di soggettività che nella scuola vivono e lavorano. Non per caso, fra le prime a portare acqua con le orecchie a m.me MM c’è una persona proveniente dai tempi in cui la politica era praticata dal Partitone che calava dall’alto i propri desiderata sui governati; che rimarrà nella storia politica di Ferrara per aver consentito nel comune di Bondeno la vittoria di un sindaco di destra, peraltro persona degnissima nel privato come nel pubblico. E del resto, basta passare a prendere un caffè (opportunamente corretto: perché ci vuole stomaco) al Bar Sport nel quale m.me MM ha allestito un’isterica campagna di linciaggio verso lavoratrici e lavoratori del Liceo Ariosto, per leggere commenti a dir poco sprezzanti verso i lavoratori non docenti che hanno testimoniato (cui, evidentemente, non è riconosciuta capacità di intendere, volere e criticare), o verso noi docenti, che staremmo difendendo “il posto fisso” (spoiler: non è facoltà dei dirigenti scolastici licenziare i lavoratori, ma è segno di ignoranza crederlo).

Si sappia dunque che nel Bar Sport sopracitato, nel quale si parla di diritti e inclusione, hanno diritto di cittadinanza espressioni dispregiative verso lavoratori e lavoratrici, a seconda della loro funzione (manca solo, ma si intuisce il retropensiero, tornare a chiamarli “bidelli” e ingiungere loro di “tornare alla ramazza”); e che il “posto fisso” è considerato un privilegio, e non un diritto.

C’è poi la cosa più grave. M.me MM ha pubblicato un primo post, nel quale si pone come depositaria della verità – “io, MM, sono la verità e la manifesto”. Tralasciando il senso del ridicolo che pervade queste parole (come nella commedia di Eduardo Ditegli sempre di sì, ciascuno può credersi quel che gli pare), questa affermazione sottintende immediatamente che ci sono due sole alternative possibili a chi non condivide quella faziosa, parziale e omissiva ricostruzione: o manifestare dissenso, ed essere sic et simpliciter etichettati come servili; o tacere, e di fatto avallare la post-verità di m.me MM. Una post-verità infarcita di generalizzazioni, con le quali singole soggettività, singole confessioni, singoli episodi sono estesi all’intero Liceo: il che la dice lunga sulla sua capacità logica e argomentativa.

Dalla post-verità alla verità del post, se è consentito citare l’Accademia della Crusca a chi fa sfoggio di purezza linguistica con distinguo di lana caprina.

È però successo che partiti, associazioni, sindacati hanno immediatamente preso per buona la verità del post, e su quella si sono espressi: e qui non importa se a favore o contro. Importa che, assunto un post non come una soggettiva ricostruzione, ma come “la” ricostruzione, quasi nessuno dei soggetti politici della città si è posto il problema di sentire dapprima l’altra campana: il silenzio della discussione, della riflessione e della scrittura meditata è stato inteso come avallo. Il che testimonia il basso livello dell’intera classe politica (includendo sindacati e associazioni) ferrarese, indipendentemente dall’essersi schierati pro o contro. Davvero siamo al punto che piuttosto di una pausa di riflessione è imperativo dire la propria a prescindere? Che il consenso si misura in cuoricini, faccine e pollici in sù, come al Colosseo ai tempi dei gladiatori? Che il tempo della politica dev’essere scandito dagli scatti d’isteria, piuttosto che dai tempi del ragionamento?

Infine: ogni causa produce effetti. Fra i quali tocca registrare il (legittimo, da parte loro) gongolare di omofobi e fascisti di varia natura: che fiutano il sangue, riconoscendo una pratica di cui sono esperti in qualcun altro che, insperatamente, fa per conto loro il lavoro sporco di minare le fondamenta di un’istituzione scolastica e culturale che hanno sempre avuto in odio.

Una capacità politica si misura anche dalle conseguenze che mette in essere; così come lo spessore morale di ogni soggettività si misura dalla capacità di sapersi far carico delle conseguenze delle proprie azioni, anche se non volute (me lo ha insegnato Nietzsche, e io a mia volta lo insegno). O dal liquidare queste conseguenze ammiccando e facendo spallucce.
C’è un tale qui a Ferrara che ha costruito la propria fortuna politica con questi metodi, e un’adeguata corte di funamboli al seguito. Evidentemente, nell’epoca in cui ciascuno può essere famoso per quindici minuti, c’è chi pensa di poter fare lo stesso, e poco gl’importa delle macerie che lascia dietro di sé.

Lo scorso novembre sono andato a sentire David Quammen, a Cuneo. David Quammen è il divulgatore scientifico che nel 2012, con Spillover, ci aveva spiegato cos’è una pandemia, e perché dovevamo aspettarci che accadesse. Nel 2022, con Senza respiro. La corsa della scienza per sconfiggere un virus letale, ci ha raccontato non solo cos’è questo virus che ci ha colto, ma anche come, passo per passo, sappiamo quel che sappiamo. Non so se sia il miglior divulgatore scientifico al mondo (chi può saperlo?), ma di certo in questo momento è il più noto: per capirci, Quammen sta all’opinione pubblica mondiale come Piero Angela sta(va) a quella nazionale. Eppure, quest’uomo che sarebbe legittimato a gloriarsi e pavoneggiarsi, al momento del firmacopie chiedeva a ciascuno quale fosse il suo mestiere. Quando incontrava un insegnante sorrideva, e scriveva nella dedica: With high respect for your work.
Questo è quello che, bene o meno bene, cerchiamo di fare nel lavoro scolastico. Qualcosa che non è confinabile nell’ombellico di chicchessia, che non vale qui e ora, per un singolo giorno o un singolo tema; qualcosa che prescinde anche dalla durata del percorso scolastico. Qualcosa per cui, come insegna Zarathustra, vale il motto: così volli che fosse.

Altri preferiscono lo spettacolo dei funamboli e dei clown, dei mendaci e delle lingue ritorte: ma come diceva Donnie Brasco, che te lo dico a fare?

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