Attualità
26 Novembre 2025
In centinaia al corteo transfemminista: duri attacchi all'amministrazione comunale, piccoli attriti e l'omaggio a Ornella Vanoni

Il 25 novembre di Ferrara porta in strada rabbia e richieste

(Foto di Riccardo Giori)
di Elena Coatti | 3 min

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Quando le prime note dell’impianto audio rimbalzano tra i palazzi di piazza Verdi, l’aria che si respira ha già la densità delle occasioni in cui qualcosa chiede di essere ascoltato. Arrivano in tante, centinaia, nella Giornata contro la violenza sulle donne: giovani e giovanissime, studentesse, lavoratrici precarie, persone trans, ragazzi solidali.

La marcia si muove alle 18, quando la luce invernale cede e la città comincia la sua routine serale. Il corteo, però, è tutt’altro che routinario: scandito da cori e slogan, ha un’energia che non prova nemmeno a farsi conciliante. È un corteo accalorato, deciso, con la rabbia che vibra nei passi e nelle voci. Le manifestanti lo rivendicano: non sono lì per mostrarsi gentili.

Le auto, bloccate nella loro quotidianità, cominciano a suonare il clacson. Qualcuno insiste, fastidiosamente, come a voler scrollare il corteo dalla strada. La risposta non tarda ad arrivare: un coro secco, un paio di cartelli alzati più in alto, qualche urlo che ritorna indietro con la stessa forza. Nessun passo indietro.

Più avanti, lungo via Terranuova, un ragazzo affacciato alla finestra alza il braccio teso, nel gesto inequivocabile del saluto romano. La reazione è immediata: fischi, voci indignate. Ma l’episodio rimane lì, come una parentesi stonata, anche se preoccupante. Il corteo non si scompone e, al di là di questi attimi, la manifestazione scorre senza tensioni reali, occupando la città.

Le voci che si alternano al microfono sono potenti e affaticate insieme. Ferrara è chiamata per nome e, con essa, le istituzioni che “non ci ascoltano, non ci vogliono vedere”. L’elenco delle richieste è un fiume continuo, che paiono pretese ma sono semplici diritti: centri antiviolenza finanziati in modo adeguato, accesso reale all’aborto in tutto il Paese, cure mediche inclusive, tutela digitale, giornalismo rispettoso, formazione politica sui temi transfemministi.

Il discorso di una manifestante si fa più duro quando cita l’assessora Francesca Savini, accusata di strumentalizzare le lotte transfemministe, e quando richiama episodi recenti di gestione aggressiva dell’ordine pubblico, dal Ddl Sicurezza agli interventi della celere nelle proteste nazionali. Le parole si fanno quasi roventi: “Non ci sentiamo sicure con voi”.

Dai microfoni arriva anche un’altra denuncia: la cancellazione delle persone trans nelle scuole, negli ospedali, nei documenti e nelle pratiche istituzionali. La marginalizzazione come abitudine, come struttura. Quando si parla invece delle donne palestinesi, viene citata la frase disumanizzante e offensiva dell’ex consigliere Benito Zocca (“Se il governo israeliano si ferma, loro si riprodurranno come le nutrie”). È un tema che tocca tutte e tutti: si intreccia alla violenza di genere, alla guerra, all’impotenza di chi guarda non accetta.

Il corteo procede come un’unica frase arrabbiata, però lucida. Una rabbia che non esplode, ma rimane costante, messa in fila parola dopo parola. Giunte in piazza Cattedrale, le manifestanti omaggiano Ornella Vanoni, scomparsa pochi giorni fa, intonando  “La voglia, la pazzia”.

Il corteo si conclude così, in un momento di bellezza dentro un pomeriggio attraversato dalla richiesta di essere viste, ascoltate, credute.

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