Economia e Lavoro
24 Novembre 2025
Roberto Mania partendo dal libro scritto con Andrea Garnero traccia un percorso degli ultimi trent'anni insieme a Laura Calafà e Gaetano Sateriale

“La questione salariale”, in trent’anni perso il 3,4% del potere d’acquisto

di Redazione | 3 min

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Meno 3,4% a parità di potere d’acquisto, a tanto ammonta la riduzione del salario medio in Italia rispetto al 1991. “La questione salariale” di Andrea Garnero e Roberto Mania affronta proprio questo tema, “come se trent’anni fossero passati invano” se consideriamo che “una frenata così non si è vista in nessuna delle economie sviluppate.

Allo stand della Feltrinelli alla fiera Work on work che si è tenuta il 19 e il 20 novembre a Ferrara, ne hanno parlato con uno dei due autori (Mania), Gaetano Sateriale, sindacalista ed ex sindaco di Ferrara, e Laura Calafà, professoressa di Diritto del lavoro all’Università di Verona. A moderare la discussione che ha ripercorso il dialogo messo in atto nel libro dai due autori è stato il giornalista di estense.com Pietro Perelli.

Il punto di partenza il dato “sorprendente” elaborato dall’Ocse: “Dal 1991 al 2023 in Italia – spiega Mania – i redditi da lavoro sono diminuiti del 3,4% contro un aumento medio del 30% negli altri Paesi avanzati, e vicino al 50% negli Stati Uniti”. Per Mania, qui “c’è la malattia italiana”, un’anomalia che non dipende da un solo fattore, ma da un insieme di storture: il modello produttivo, la debolezza contrattuale, un fisco distorto, la crescita dei contratti precari.

Un altro nodo è la difficoltà stessa di discutere del tema: “In Italia – spiega Mania – la questione del lavoro o non viene affrontata o viene affrontata in modo ideologico e divisivo”. Il dialogo con Garnero, economista Ocse dotato di “uno sguardo distante dalle polemiche italiane”, oltre a volersi allontanare dalla polemica italiana cerca di discutere un tema complesso rendendolo comprensibile

Laura Calafà fotografa la dura realtà dei salari in Italia ricordando che “tecnicamente conviviamo con livelli retributivi di 3,83 euro l’ora”, una realtà in molti settori non aiutata da cose come gli appalti al massimo ribasso nella pubblica amministrazione che hanno creato “un effetto concorrenziale perverso”.

Calafà individua una delle possibili cause nell’uscita dalla scala mobile negli anni ’90 però, “non abbiamo sostituito quel modello con un sistema capace di garantire aumenti salariali adeguati”. Il risultato è quella che definisce una “trappola perfetta” fatta di contrattazione indebolita, esternalizzazioni a cascata, settori a prevalenza femminile pagati pochissimo e un’enorme fuga di giovani: “I miei migliori studenti sono a Bruxelles. Come dargli torto?”.

Un ruolo lo sta giocando la magistratura nel riempire un vuoto lasciato “dall’inerzia politica” e “dalla debolezza sindacale” che interviene per dire che “3,83 euro sono un insulto”.

A riportare la questione sul terreno storico-politico è Gaetano Sateriale, che ricostruisce le “onde salariali” degli ultimi sessant’anni: gli anni ’60 con “lo sviluppo basato sui salari bassi”, la riscossa operaia dei ’70, la stagione della concertazione dei ’90, fino al declino attuale.

Dalla “svalutazione della Lira” siamo passati, dopo l’introduzione dell’Euro, alla “svalutazione del lavoro” per mantenere la competitività, ricorda Sateriale riprendendo un passaggio del libro. Una strategia che ha prodotto precarietà e un indebolimento della contrattazione, soprattutto nelle piccole imprese che rappresentano il 99% del tessuto produttivo italiano. Per questo propone una strada nuova: la contrattazione territoriale. “Se nel territorio si decide insieme un aumento medio, si evita la concorrenza al ribasso”

Nelle battute finali, Mania torna sul tema del salario minimo, visto favorevolmente dai tre relatori. “Siamo in una fase in cui vanno sperimentate soluzioni”, tra queste cita quella di Firenze e Milano che hanno inserito negli appalti una sorta di salario minimo da corrispondere ai dipendenti. Chi poi ne ha più bisogno è il mondo del terziario, non gli operai delle grandi industrie, “che spesso percepiscono una paga oraria inferiore a una vera retribuzione”.

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