Mentre le valanghe travolgevano sull’Himalaya nove alpinisti di cui cinque italiani, a lottare contro il ciclone Montha c’era anche un ferrarese.
Andrea Lazzari, 51 anni, imprenditore, ingegnere e pilota, era partito per il Nepal il 22 ottobre con una squadra di altri tre escursionisti, sotto la guida del nepalese Bijaya Pokharel e con due portatori di etnia Sherpa.
Il programma prevedeva l’ascesa del versante sud della catena himalayana in territorio nepalese sino al raggiungimento dell’Everest Base Camp e del Kala Patthar lungo il ghiacciaio del Khumbu.
Proprio in quei giorni, a pochi chilometri di distanza, si consumava la tragedia del Dolma Khang.
“Siamo arrivati fino a 5.500 metri di altitudine. Per farlo abbiamo impiegato 12 giorni da Lukla a Everest Base Camp e ritorno – racconta Lazzari a Estense.com -. Durante la spedizione non si sono verificate valanghe nella nostra zona, ma abbiamo dovuto comunque affrontare delle difficoltà per la presenza di questo ciclone che aveva il suo baricentro in India e si estendeva fino al Nepal centro ovest”.
Un evento atmosferico raro ma non impossibile. “In un periodo come questo – conferma -, che corrisponde alla stagione di secca, non è facilmente prevedibile. In realtà, vedendo le previsioni, avevamo visto che stavamo andando incontro al maltempo. La domenica del 26 ottobre pioveva e la pioggia, una volta depositata, si trasformava in neve. Poi il maltempo è durato per circa quattro giorni. Le guide erano consapevoli di quanto stesse accadendo. Quando si configurano condizioni estreme, l’autorità del Parco nazionale chiude i percorsi o non ne rende accessibili altri. Il problema è per chi è già all’interno”.
E la sua spedizione, fortunatamente, è stata solo sfiorata dalle valanghe.
“Per noi la conseguenza della perturbazione è stata quella di percorrere il sentiero con enorme difficoltà. Quando cade molta neve si perde traccia del percorso, che diventa più difficilmente percorribile”.
La tempesta che Lazzari e il suo gruppo ha dovuto fronteggiare ha bloccato più di 1.500 escursionisti. Lungo il sentiero che stava percorrendo è precipitato un elicottero nei pressi di Lobuche, a nord di Namche Bazaar, mentre tentava di soccorrere alcuni alpinisti rimasti bloccati. Il pilota è sopravvissuto ed è stato successivamente tratto in salvo.
“Poco prima avevamo sentito il rumore assordante della neve che si staccava a precipitava a valle travolgendo qualsiasi cosa. L’elicottero, o meglio i rottami di esso, li abbiamo visti il giorno dopo la caduta. Le notizie sui dispersi le abbiamo apprese durante l’ascesa la sera successiva. Bisogna dire che se attraversi il gruppo montuoso più alto del pianeta devi mettere in conto purtroppo questi pericoli. Noi siamo stati fortunati, ma comunque siamo incappati in cadute franose di sassi grandi come una lavatrice”.
Facile immaginare la preoccupazione di familiari e amici in quelle ore. “Alla sera riuscivo a comunicare con la mia famiglia quando raggiungevamo i rifugi, le tea-house, ricovero obbligato – e agognato – di ogni escursionista. Va detto che sull’Himalaya il sistema di soccorso e recupero sono estremamente efficienti. Certo, può accadere una disgrazia anche sulle Dolomiti, ma lì è tutto più complesso sia per le distanze che per le altitudini”.
Come ci si prepara a un’avventura del genere?
“Prima di partire sono stati necessari tre mesi di preparazione con un allenamento specifico, necessario per preservare il fisico dal ‘mal di montagna’. Il mal di montagna lo si può avvertire in altura con mal di testa, nausea, vomito o vertigini. Sintomi che possono essere l’anticamera di un edema polmonare o cerebrale. Il corpo si deve abituare alla carenza di ossigeno. Oltre all’allenamento fisico devi astenerti completamente dall’assunzione di alcol, nicotina e caffeina e abituare il tuo corpo agli sbalzi di pressione. Noi (io e il mio amico Roberto Spagnolo che è venuto con me in Nepal) lo abbiamo fatto andando ad allenarci sulle Dolomiti e cercando di salire e ascendere nel più breve tempo possibile. L’effetto più rilevante è proprio connaturato all’altitudine. Il tuo cuore arriva a pulsare a 130 battiti al minuto”.
Tre mesi di allenamenti, undici giorni di cui otto di salita e tre di discesa, 121 km percorsi e 6.785 metri di ascesa. Complessivamente abbiamo percorso 121 km e 6.785 metri di ascesa coperti. Numeri che, senza dimenticare chi lassù ha perso la vita, fanno dire al ferrarese al suo ritorno di aver vissuto “un’esperienza indimenticabile”.