Nicola Lodi, detto Naomo, dopo la condanna in primo grado a 2 anni e 10 mesi per induzione indebita e la conseguente sospensione dalla carica per la legge Severino, rischia di affrontare un ennesimo processo penale. Questa volta l’accusa è di peculato.
Il sostituto procuratore Andrea Maggioni ha chiuso le indagini nate dalle dichiarazioni dell’ex vicesindaco, chiamato a rendere esame come persona offesa nel corso del processo – attualmente in corso – nei confronti della sua ex braccio destra Rossella Arquà.
Arquà deve rispondere di minacce nei confronti dell’ex assessore per le lettere minatorie che, tra aprile e giugno 2021, secondo la Procura di Ferrara, avrebbe confezionato e lasciato nella sede del partito di via Ripagrande con l’obiettivo di intimidirlo.
Va ricordato che l’ex consigliera della Lega (al tempo anche responsabile organizzativa sempre sotto la supervisione di Lodi) ha già ammesso di essere la mittente solo di alcune delle lettere contestate (lettere di cui, secondo la difesa, Lodi era perfettamente a conoscenza) e ha già patteggiato cinque mesi per simulazione di reato.
Nel corso del suo esame, avvenuto durante l’udienza dello scorso 21 luglio, Lodi, nello spiegare che aveva fatto installare delle telecamere – “su consiglio dell’allora questore Cesare Capocasa e dell’allora capo della Digos D’Avino (che ha smentito, ndr)” – nei pressi della sede della Lega (nella cui buchetta venivano trovate le lettere minatorie), ha affermato che ne fece installare all’interno di due auto fuori dall’immobile, una di proprietà del Comune e l’altra di proprietà di Fabio Felisatti (ex consigliere comunale nella prima giunta guidata Fabbri e ora assessore a Copparo nella giunta del leghista Fabrizio Pagnoni).
“Col caldo una di quelle si staccò – aveva raccontato nel processo – e quindi il questore mi disse di fare una roba seria. Incaricammo quindi la società privata Securfox per mettere una telecamera all’interno della sede, che solamente la ditta di vigilanza e la Digos potevano visionare, mentre io non avevo quella possibilità. Le pagai tutte di tasca mia, spendendo quasi 500 euro”.
L’utilizzo dell’auto della Polizia locale per fini diversi da quelli istituzionali, secondo la procura, configurerebbe il reato di peculato.
Il peculato ricorre quando un pubblico ufficiale, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di un bene altrui (in questo caso le auto della Municipale) se ne appropria.
In questo caso la presunta appropriazione è stata momentanea. Qui il codice penale prevede una diminuzione di pena: da sei mesi a tre anni.
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