Cronaca
9 Novembre 2025
Un uomo che lavorava in un'azienda del bondenese ha inviato mail alla dirigenza e ai colleghi che i datori di lavori hanno ritenuto diffamatoria, ma non il giudice

“Finalmente conclusa l’esperienza lavorativa”. Querelato dall’azienda, assolto dal giudice

di Pietro Perelli | 2 min

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Era stato querelato per diffamazione dall’azienda per la quale lavorava a Bondeno ma il Tribunale di Mantova lo ha assolto perché il fatto non costituisce reato ritenendo la volontà di diffamare “palesemente assente”.

Nel 2021, dopo sette anni di lavoro presso l’azienda, uno dei dipendenti invia una mail di saluti a un centinaio di persone (collaboratori o dipendenti della società) oltre che al presidente e al vicepresidente. In questa mail dichiara “finalmente” conclusa la sua esperienza lavorativa affermando anche che “di sicuro” il lavoro non gli mancherà. Argomenta poi le difficoltà per avere gli attrezzi utili al lavoro e “armadietti che si chiudono davvero”. Questo sarebbe avvenuto “con la scusa di tenere basse le spese del reparto mentre fuori spuntano pensiline dell’autobus, giardinetti e parcheggi in autobloccante”.

A differenza di quanto sostenuto dall’azienda il giudice ha ritenuto vi sia un intento di “commiato” e non di attacco già dall’oggetto della mail che recita: “Saluti”. Il testo sarebbe poi lo “sfogo di un lavoratore” che lascia il lavoro dopo sette anni. Uno sfogo al quale sono anche mescolati ringraziamenti “per le opportunità ricevute” oltre a “critiche su aspetti specifici della vita aziendale”.

Sarebbe assente, per via della genericità delle espressioni utilizzate, una volontà denigratoria mirata e per il giduce l’intento non sarebbe stato quello di ledere la reputazione dell’azienda ma quello “di condividere un’esperienza lavorativa con le sue luci e le sue ombre”.

E se anche si arrivasse ritenere offensiva la condotta del querelato, la sua condotta sarebbe “in ogni caso scriminata dall’esercizio del diritto di critica”. Il giudice individua infatti la sussistenza di tre requisiti scriminanti richiesti dalla giurisprudenza.

In primo luogo individua un interesse sociale alla conoscenza del fatto: “La critica, rivolta alla comunità dei lavoratori dell’azienda, verteva su temi di evidente interesse collettivo per l’ambiente di lavoro”.

Vi è poi una verità dei fatti citati. Dalla memoria difensive si evincerebbe infatti che “la critica alla burocrazia non negava la disponibilità degli attrezzi, ma ne lamentava la farraginosa procedura di acquisto” e che “la questione degli armadietti non funzionanti nel 2020 è un fatto storico preciso”.

Infine il giudice evidenzia come il linguaggio utilizzato, “pur a tratti colorito, non trascende mai in un attacco personale, volgare o gratuito”.

La condotta del lavoratore si è quindi mantenuta entro i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica, esprimendo un dissenso motivato su aspetti dell’organizzazione e della vita aziendale”.

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