Non c’era più un posto libero al Teatro Comunale per l’incontro del Festival Internazionale che ha visto sul palco Francesca Albanese, relatrice speciale Onu, intervistata da Francesca Agnetti. I biglietti erano andati esauriti in poche ore e già all’ingresso si percepiva l’emozione e l’attesa: dai palchetti sventolavano kefiah e bandiere palestinesi, in un’atmosfera che mescolava la solennità del teatro alla passione di una piazza.
Durante l’incontro è arrivata la notizia che Hamas avrebbe approvato lo scambio dei prigionieri con l’Idf, come proposto da Donald Trump. Albanese ha commentato con prudenza: “Sono contenta per gli ostaggi e per le loro famiglie. Spero che questo sia l’inizio di una cosa migliore per i palestinesi, anche se viste le premesse quel piano è il killeraggio del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese“.
Albanese è stata accolta da un lungo applauso, caloroso e vibrante, che si è trasformato in standing ovation alla fine dell’incontro. Nel pomeriggio aveva incontrato il corpo docenti dell’Università di Ferrara, “un bellissimo scambio” per la relatrice Onu, che ha dedicato un ringraziamento speciale alla professoressa di Diritto internazionale Alessandra Annoni. “Grazie di cuore per l’ascolto e il confronto – ha detto – è in queste sedi che si costruisce la coscienza collettiva necessaria a fermare i crimini”.
Il passaggio più forte del suo intervento è arrivato quando ha chiamato in causa direttamente la responsabilità dei governi europei, e in particolare quello italiano: “Non è vero che il governo non fa nulla. Con le sue azioni e omissioni sostiene ciò che Israele fa contro il popolo palestinese. Non possiamo permetterci, da italiani ed europei, di essere complici di un altro genocidio. La prevenzione non significa aspettare che tutto sia compiuto: significa fermarsi ora, smettere di trasferire armi, interrompere gli scambi che alimentano questa macchina di morte”.
Il discorso ha poi toccato il ruolo dell’informazione. Albanese ha criticato apertamente l’approccio dei maggiori media italiani: “Viviamo un momento in cui la disumanizzazione è fortissima: i palestinesi muoiono senza volto, senza nome. Eppure il giornalismo dovrebbe servire a restituire umanità, a mostrare il volto delle vittime, a far capire che non si tratta di numeri ma di persone. Per questo scrivo e raccolgo testimonianze: dare centralità all’umanità è l’unico modo per fermare l’indifferenza”.
Agnetti l’ha accompagnata in questo passaggio richiamando il libro di Albanese, “Quando il mondo dorme” (Rizzoli), che racconta la Palestina attraverso dieci voci emblematiche: “Un mosaico di umanità – lo ha definito Agnetti – che restituisce alle storie individuali la forza di illuminare la storia collettiva”.
Non sono mancati i riferimenti personali. Albanese ha ricordato le campagne di delegittimazione che la colpiscono regolarmente da oltre un anno: “Sono continuamente attaccata, ma non importa. Non è su di me che dobbiamo concentrare le energie. C’è un genocidio in corso, e questo deve essere il nostro unico orizzonte. Gli attacchi personali vanno ignorati: hanno lo stesso valore delle teorie dei terrapiattisti. Non meritano di farci perdere tempo”.
Un’affermazione che ha suscitato sorrisi, ma anche un mormorio di consenso, quasi un respiro collettivo di liberazione davanti alla fermezza della relatrice. Più volte Albanese ha richiamato la necessità di una responsabilità collettiva: dagli avvocati che denunciano le complicità istituzionali, agli studenti che riempiono le piazze, fino ai cittadini che chiedono al proprio governo di non restare complice.
“Non vi dico di farlo per la Palestina, o per me. Fatelo per voi stessi, per la nostra umanità. Perché questo sia l’ultimo genocidio che l’umanità si trova a commettere“, ha concluso Albanese.
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