di Riccardo Giori
Il ricordo di Federico Aldrovandi unisce Ferrara in un abbraccio, come quello tra il sindaco Alan Fabbri e l’avvocato Fabio Anselmo. È quanto accaduto nella serata di giovedì 25 settembre al cinema Apollo di Ferrara, dove è stato proiettato È stato morto un ragazzo, film documentario del 2010 che tenta di ricostruire il lungo e tormentato percorso di ricerca della verità su ciò che accadde all’alba del 25 settembre 2005, quando il giovane venne brutalmente ucciso da quattro agenti della polizia di Stato, poi condannati definitivamente a 3 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo con eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi.
Alla proiezione è preceduto un dibattito a cui hanno partecipato Patrizia Moretti, madre di Federico, Andrea Boldrini del Comitato Federico Aldrovandi, il regista Filippo Vendemmiati, l’allora produttore esecutivo del documentario nonché attuale direttore artistico del Teatro Comunale di Ferrara Marcello Corvino, moderati dal giornalista e critico cinematografico Piero Di Domenico, e con i saluti istituzionali del sindaco di Ferrara Alan Fabbri.
“Quello che ricordiamo oggi è un momento tragico per la nostra città, ma è anche un’occasione per trasformare il dolore personale e familiare in una memoria comune” ha detto Fabbri, “dopo tanti anni si è riusciti a fare maggiore chiarezza e a costruire più unità intorno ad una vicenda tragica non solo per Ferrara ma per tutta Italia”, e riferendosi alle forze dell’ordine ha poi aggiunto “un sistema che avrebbe dovuto difenderci per primo ha commesso errori e provocato danni enormi”.
Rivolgendosi poi alle diverse personalità politiche presenti in sala tra cui i consiglieri regionali Marcella Zappaterra e Paolo Calvano, la senatrice Ilaria Cucchi, il presidente del consiglio comunale Federico Soffritti e il questore Massimo Marchesiello, il sindaco ha aggiunto che “l’amministrazione e la politica su questi casi si sono sempre schierati insieme perché penso che oggi dopo tanti anni, e faccio anche un mea culpa anche della parte politica che rappresento io, si sia fatta più chiarezza, ci sia meno divisione e ci sia più unità su quello che è stato un omicidio, una tragedia che speriamo appunto non capiti mai più”. Fabbri prima di lasciare il palco ha poi ricordato che dal recupero degli spazi dell’ippodromo verrà intitolata una biblioteca a Federico Aldrovandi “per fare in modo che la memoria resti viva e che sia un’occasione di formazione per le future generazioni”.
A prendere parola è stata poi Patrizia Moretti, madre di Federico che sin da subito ha lottato per ottenere la verità. “Dopo vent’anni la sofferenza e la disperazione sono ancora forti, per me è come aver perso un figlio in guerra, ma con la differenza che siamo in tempo di pace. Ma quello che ci accomuna tutti dopo vent’anni, anche grazie al Comitato che porta il nome di mio figlio e a tante altre voci nate spontaneamente in tutta Italia, è una consapevolezza politica su quanto accaduto che va oltre gli schieramenti politici”. Patrizia Moretti riprende poi le parole di Fabbri riguardo la consapevolezza comune sugli errori commessi da chi questa comunità avrebbe dovuto proteggerla, ammettendo che purtroppo “tragedie di questo tipo ce ne sono state anche altre dopo Federico, grandi, piccole, alcune le conosciamo, altre non vedranno mai la luce a meno che non ci sia qualcuno fra i familiari e gli amici delle vittime che riesca a bruciare il silenzio”.
Moretti infine auspica che “venga fatto un lavoro proprio all’interno delle forze dell’ordine” sottolineando il senso di ingiustizia che comunica la reintroduzione in servizio degli agenti condannati per l’omicidio del figlio poiché “non riesco ad accettare che una divisa possa compiere dei reati, è una contraddizione in sé, le persone che dovrebbero tutelare e difendere la società, i ragazzi in particolare, non è possibile che siano liberi con il rischio ripetere azioni così tragiche. Per rimanere sul singolo caso la nostra richiesta è sempre stata che, dopo le sentenze di condanna confermate a tutti i gradi di giudizio, gli venisse tolta la divisa, e invece non è stato così. E su questo da allora non sono stati fatti passi in avanti” conclude Moretti.
“Quello di Federico è stato un lutto importante, di quelli che ti cambiano la vita” dice Andrea Boldrini del Comitato Federico Aldrovandi, “cambia la vita a tutta una comunità di amici, e in un paese civile e democratico non si dovrebbero mai affrontare situazioni simili”, ricordando poi la difficoltà nella ricerca della verità subito dopo l’omicidio, “anche la stampa aveva inizialmente accettato le prime dichiarazioni della polizia, e ci è voluta una foto di Federico sul tavolo dell’obitorio con un aureola di sangue sulla testa per far riprendere delle indagini anche giornalistiche”. Le parole di Boldrini rievocano la grandissima risposta comunitaria e la nascita del comitato, “quando ha iniziato a emergere la verità la comunità si è stretta intorno a noi, è sorto un piccolo comitato nato da amici, dalla sua famiglia e da attivisti che si sono uniti a noi subito, dai piccoli sit-in che organizzavamo nella piazza principale della cattedrale, nella piazza principale di Ferrara. Eravamo sempre di più, fino a una manifestazione nazionale nel 2006 dove hanno partecipato in tantissimi da tutta Italia”.
Ma i famigliari e gli amici di Federico non sono stati i soli ad incontrare parecchie difficoltà durante una quasi disperata ricerca di giustizia. “Ricevemmo diverse minacce a seguito della realizzazione del documentario” ricorda Marcello Corvino, allora produttore di È stato morto un ragazzo, che poi aggiunge: “Oltre a essere un’opera di un grande giornalista, questo film ha anche una qualità di farci percepire quanto sia importante la vita di un essere umano. Dovrebbe essere un’affermazione banale questa, ma noi quando accendiamo la tv, soprattutto in questo periodo, ci accorgiamo che la vita degli esseri umani non vale più niente”. Il regista, Filippo Vendemmiati dedica invece la proiezione “ai tanti Federico che sono seduti oggi in platea, ad Andrea, Matteo, Stefania, Ilaria, Giovanni, a tutti quei ragazzi coetanei di Federico che oggi hanno rilanciato in modo così straordinario l’associazione dedicata a Federico Aldrovandi, perché oggi Federico sono loro e sono loro che oggi riportano dignità e giustizia a questa storia. Aldro vive con loro, come dice una famosa canzone, e come ricordano sempre i tifosi allo stadio”.
Vendemmiati parlando della pellicola aggiunge che “ormai il film va avanti da solo con le proprie gambe, oggi succede che hanno cominciato già a telefonarmi diverse scuole che vogliono riproporre il film e farlo vedere anche chi non era nato vent’anni fa e quindi di buon grado, almeno per un po’, ho deciso che ancora continuerò ad accompagnare Federico, anche perché questa volta mi segue Andrea e quindi sono in buone mani, soprattutto sono in giovani mani”.
Infine, incalzato dai presenti, sale sul palco anche Lino Aldrovandi. Visibilmente emozionato prende la parola per ricordare che se si è arrivati all’epilogo della vicenda della morte di Federico “bisogna ringraziare in particolare modo tre persone: Anne Marie Tsagueu, Domenico Bedin e Tiziano Tagliani” rispettivamente l’unica testimone oculare dell’omicidio, il presidente dell’associazione Viale K che convinse Anne Marie a testimoniare, e l’avvocato ed ex sindaco di Ferrara che seguì per primo la famiglia Aldrovandi. Lino ricorda che Anne Marie, cittadina camerunese a cui all’epoca stava scadendo il permesso di soggiorno, fu terrorizzata dal testimoniare per timore di ripercussioni, vennero fatte su di lei infatti terribili pressioni affinché rimanesse in silenzio. Convinta poi da Bedin si fece coraggio e la sua testimonianza in tribunale fu fondamentale per gli esiti del processo. “Ecco io per queste persone nutrirò sempre una grandissima riconoscenza, come penso anche Patrizia ma anche Fabio (Anselmo – ndr) che questa storia la conosce benissimo e per fortuna è anche qui con noi stasera” conclude Lino, “e quindi io non posso dimenticare appunto Anne Marie, per me rimane un punto di riferimento incredibile”.
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