Cronaca
24 Settembre 2025

Finse di avere due figli ed essere malata. Per dieci anni nessuno l’ha vista in ospedale

di Redazione | 3 min

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In dieci anni era riuscita a lavorare appena sei giorni, grazie a decine di certificati che attestavano false malattie e anche due gravidanze inesistenti. Ora, dopo le condanne in ambito penale, per lei – operatrice tecnica ex dipendente dell’Azienda Ospedaliera-universitaria Sant’Orsola di Bologna – arriva anche il conto da pagare all’erario.

Un conto salato. La Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna l’ha condannata a risarcire, in favore del Sant’Oesola, quasi 130mila euro di danni.

I fatti risalgono a diversi anni fa. Per alcuni dei reati commessi dall’operatrice è già intervenuta da tempo la prescrizione. La truffa all’azienda sanitaria e al sistema di prevenzione sociale parte dall’anno 2000. Da qui fino al 2010 è riuscita a lavorare per soli sei giorni: due nel 2002 e quattro nel 2003.

Come è stato possibile? La donna, tra il primo congedo per maternità a rischio (datato 2004) e il secondo (datato 2008), ha usufruito – scrivono i giudici contabili in sentenza – di “lunghissimi periodi di malattia per causa di servizio”.

Le indagini dei Carabinieri del Nas avevano a suo tempo documentato la presentazione, da parte della donna, dal 15 giugno 2005 sino al 13 dicembre 2010, di cinquantasei certificati che attestavano un inesistente stato di malattia. Certificati ottenuti dichiarando falsamente agli inconsapevoli medici di base una malattia asseritamente dovuta all’attività lavorativa svolta.

In realtà la donna già da molto tempo non la svolgeva più il suo lavoro. Non solo. Nemmeno le due gravidanze erano reali.

Grazie a questi infiniti raggiri, la donna era riuscita a ingannare la Direzione Provinciale del Lavoro, l’amministrazione di appartenenza e l’Agenzia delle Entrate, riuscendo a ottenere anche il beneficio dell’astensione anticipata dal lavoro per complicanze nella gestazione, poi quella obbligatoria per maternità, percependo il relativo trattamento economico.

A questo si aggiungeva il danno erariale per l’indebita fruizione di benefici fiscali per i figli falsamente dichiarati a carico.

Per la falsa attestazione delle gravidanze inesistenti, in sede penale il tribunale di Bologna la condannò nel 2012 alla pena di anni due di reclusione e al pagamento di 1.200 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento, e una provvisionale immediatamente esecutiva di 25.000 euro, mai pagata.

La Corte d’Appello di Bologna diminuì la condanna, essendo nel frattempo intervenuta la prescrizione per il reato di falso ideologico, rideterminando la pena per i restanti delitti in 1 anno e 8 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa, confermando per il resto la sentenza di primo grado.

La sentenza di secondo gradi venne poi confermata dalla Cassazione.

Per le condotte assenteistiche relative alle false attestazioni di malattia, in primo grado venne condannata a 3 anni (limitatamente ai reati commessi successivamente all’8 settembre 2008, essendo quelli precedenti estinti per prescrizione), e al risarcimento in favore dell’Azienda Ospedaliero-universitaria felsinea, assegnando alla parte civile una provvisionale immediatamente esecutiva di 30.000 euro. Anche questi mai pagati.

Ora arriva il conto della giustizia contabile. La donna, oltre al danno patrimoniale, quantificato in 69.370 euro, che corrisponde alle somme indebitamente percepite sulla base di 56 certificati attestanti false malattie, dovrà risarcire anche il danno di immagine all’azienda sanitaria per un importo di 60mila euro, “in considerazione della gravità delle condotte contestate dalla procura contabile tenuto conto del carattere sistematico e della risonanza mediatica delle stesse”.

Già in precedenza, in altro giudizio davanti alla Corte dei Conti, la professionista era stata condannata al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alle false attestazioni di gravidanze in realtà inesistenti, quantificato in 67mila euro.

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L’articolo è stato modificato nella mattinata del 24 settembre. A causa di un equivoco era stato riportato erroneamente che parte lesa dall’azione dell’operatrice era l’azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara. Si tratta invece dell’azienda ospedaliero-universitaria di Bologna. Ci scusiamo con i lettori.

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