Lettere al Direttore
12 Giugno 2025

Antiabortista è un complimento?

di Redazione | 4 min

Egregio Direttore,

Le chiedo cortesemente di poter replicare all’articolo A Ferrara esplode la polemica sui manifesti antiabortisti di Pro Vita & Famiglia.
Vorrei partire con una doverosa premessa: Antiabortista è un complimento!

Certo è come dire anti-violenza, anti-pena di morte, anti-omicidio del più debole, anti-guerra.

Sì, proprio anti-guerra, parafrasando Madre Teresa di Calcutta al Premio Nobel per la Pace nel 1978, se una madre può uccidere suo figlio che porta in grembo, cosa ci impedisce di ucciderci tra di noi.

È ipocrisia pura sventolare la bandiera arcobaleno della pace nei cortei nelle piazze e poi dichiarsi pro-aborto. Ma noi di queste incoerenze e dissociazioni mentali non ci accorgiamo più! Non ragioniamo azionando il cervello che il buon Dio ci ha donato, ma ripetendo slogan vuoti e spesso violenti verso chi la pensa diversamente da noi e per assurdo anche contro il proprio stesso interesse….

Siamo talmente schiavi della nostra autodeterminazione – del nostro io dittatore – che stiamo arrivando persino a desiderare di toglierci la vita, inneggiando al nostro presunto “diritto” di accesso al suicidio assistito on demand.

Insomma follia allo stato puro.

Noi del Comitato “Prolife Insieme” appoggiamo e ringraziamo gli amici di Provita e Famiglia che anche in questa campagna contro la pillola killer RU486 hanno agito nella verità scientifica e nella onestà intellettuale.

Confidiamo che prima o poi anche i collettivi cosiddetti transfemministi si aprano ad un dialogo costruttivo su questo tema, poiché la pillola non uccide solo il piccolo nel grembo materno, ma spesso procura enormi danni alle donne.

È quindi nell’interesse di tutta la società denunciare farmaci pericolosi che arricchiscono sempre i “soliti”, i quali nascondono i loro interessi, dividendo il popolo e mettendoci gli
uni contro gli altri.

Non cadiamo nella trappola dei potenti di questo mondo, perché come sappiamo siamo qui solo di passaggio, cerchiamo di essere uniti nella verità perché solo in lei avremo libertà e pace.

Manuela Ferraro, Poggibonsi (Siena)

Per Prolife Insieme

Definire “antiabortista” un complimento, paragonandolo all’essere “anti-violenza” o “anti-omicidio” è un accostamento non solo scorretto, ma anche profondamente offensivo nei confronti di chi si trova, spesso in solitudine, a dover affrontare una gravidanza indesiderata, magari frutto di violenza, precarietà o semplicemente di una scelta di vita consapevole.

Sostenere il diritto all’aborto non significa promuovere la morte, ma riconoscere che la maternità, per essere autentica, deve essere una scelta, non un’imposizione.

La citazione di Madre Teresa e il riferimento al “figlio nel grembo” sono argomenti noti del discorso antiabortista, che fa leva sull’emotività e sulla colpevolizzazione morale della donna. Ma una società civile e democratica non si costruisce su sensi di colpa e paternalismo, bensì sul rispetto dell’autonomia individuale.

L’aborto è un diritto sancito dalla legge 194 del 1978, frutto di decenni di battaglie per l’autodeterminazione. Criminalizzare questo diritto significa voler riportare indietro le lancette della storia.

L’attacco alla RU486 come “pillola killer” è mistificazione, è strumentalizzazione degli effetti collaterali (presenti senza dubbio come in qualunque medicinale) per meri scopi ideologici. Questo non è avere a cuore la salute delle donne. Inoltre, l’aborto farmacologico è un’opzione sicura e raccomandata dall’Oms, proprio perché riduce i rischi legati all’intervento chirurgico e consente alla donna di vivere l’esperienza in un contesto più rispettoso del proprio corpo e della propria privacy, spesso violata proprio dalle associazioni antiabortiste all’interno dei consultori. 

Si accusa il transfemminismo di essere schiavo dell’“io dittatore”, ma in realtà ciò che il transfemminismo rivendica è il diritto delle donne di essere soggetti pieni, in grado di decidere del proprio corpo e della propria vita autonomamente. Chi si oppone all’aborto non difende la vita: nega la complessità delle esistenze umane, pretende di imporre una visione etica assoluta in uno Stato laico.

Colpisce poi il riferimento ai “potenti di questo mondo”. Proprio da chi si oppone al diritto di scelta e accusa gli altri di fare il gioco del potere. Proprio da quelle associazioni che ricevono abbondanti finanziamenti di soldi pubblici per il “sostegno alla maternità”. È chiaro che qui la posta in gioco non è la protezione della vita, quanto il mantenimento di strutture di potere patriarcali ed economiche: i “potenti di questo mondo” si servono dell’ideologia antiabortista per rafforzare la loro egemonia, controllando i corpi delle donne e limitando la loro libertà di scelta. Il divieto d’aborto non è più una questione morale, bensì una leva di potere, funzionale a perpetuare disuguaglianze di genere, classe e razza.

Infine, l’invito all’apertura al dialogo rivolto ai collettivi transfemministi non potrà mai avvenire senza rispetto reciproco. E il primo passo per ottenerlo è smettere di giudicare le donne che abortiscono come assassine. Nessuna donna prende questa decisione con leggerezza e, se anche lo facesse, spetta comunque a lei l’ultima parola, senza doversi difendere da qualcuno che pretende di sapere meglio di lei cosa sia giusto.

Elena Coatti

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