di Elena Coatti
Negli anni più bui della nostra storia, l’Italia ha avuto coraggio di cambiare: ha esteso diritti, ampliato libertà, incluso chi era ai margini. Oggi, davanti alla possibilità di riconoscere dignità a milioni di lavoratori e stranieri attraverso i cinque quesiti del Referendum dell’8 e 9 giugno, sorge una domanda: di cosa abbiamo paura?
Si potrebbe sintetizzare con queste parole la “Carovana della Cittadinanza” portata il 17 maggio da Arci e Cgil Ferrara in piazza Castello. Parte della campagna nazionale a sostegno dei referendum abrogativi di giugno, si è trattato di un appuntamento per riaccendere l’attenzione su temi fondamentali: cittadinanza, lavoro, diritti. E, soprattutto, partecipazione.
Tra gli interventi più accorati, quello dell’avvocato Massimo Cipolla, che è partito proprio dal tema della paura: “Negli anni Sessanta e Settanta, in un’Italia attraversata da bombe nelle strade, nelle stazioni, dalla violenza politica e dal rischio nucleare, si è avuto il coraggio di andare avanti. Abbiamo introdotto diritti per le donne, per i lavoratori, per le persone con disabilità, per i detenuti. Non si è avuta paura. In quel momento il nostro Paese era nel fiore degli anni. Perché allora oggi dovremmo temere l’inclusione di chi vive e lavora accanto a noi?”.
Il riferimento è a uno dei cinque quesiti, che propone di ridurre da dieci a cinque il tempo minimo di residenza per poter richiedere la cittadinanza italiana. “È assurdo – continua Cipolla – che chi lavora, paga le tasse, cresce i propri figli qui, debba restare per un decennio nell’incertezza. Abbiamo paura di una coppia straniera che compra casa? Di un bambino straniero che non può andare in gita scolastica? Dobbiamo votare sì perché altrimenti dimostreremmo di essere dei vigliacchi rispetto ai nostri genitori che non si sono tirati indietro cinquant’anni fa”.
A rafforzare questo appello è anche Carola Peverati, dell’associazione Cittadini del Mondo: “Ci sono oltre un milione di ragazzi che vanno a scuola con i nostri figli, che lavorano con noi, ma non hanno il diritto di essere cittadini. Alcuni sono nati qui, ma restano invisibili. Abbiamo conosciuto casi di giovani ex jugoslavi dichiarati apolidi per motivi che hanno radici nel razzismo. A questi, oggi, lo Stato nega tutto. È una vergogna”.
Ma il tema della cittadinanza si interseca inevitabilmente anche con quello del lavoro. Stefano Tassinati, della segreteria confederale della Cgil Ferrara, denuncia il circolo vizioso della precarietà: “Per rinnovare il permesso di soggiorno, molti lavoratori stranieri sono costretti ad accettare qualsiasi tipo di impiego. Anche lavori in grigio, sottopagati, senza tutele. Disposti a lavorare 12 ore per essere pagati 6. Questa situazione non colpisce solo loro: abbassa i diritti di tutti, anche degli italiani”.
Tassinati sottolinea poi l’importanza di uno dei quesiti sul lavoro che riguarda le responsabilità negli appalti: “Oggi le aziende possono scaricare la responsabilità delle violazioni sui subappaltatori. Lo abbiamo visto con il caso del cantiere di Esselunga, a Firenze, l’anno scorso. Con il referendum chiediamo che chi appalta risponda di ciò che accade nei luoghi di lavoro. Vogliamo un sistema più giusto, trasparente e sicuro”.
Con i referendum dell’8 e 9 giugno, i cittadini sono chiamati, dunque, a esprimersi su cinque quesiti fondamentali, che toccano la riforma del lavoro, la sicurezza, la precarietà e il diritto alla cittadinanza. Eppure, se ne parla poco. “Ci invitano a non andare a votare – ricorda Tassinati – ma il voto è un diritto costituzionale. Non si può accettare che venga svilito. Ogni cittadino deve sapere che ha in mano una responsabilità: quella di decidere se restare fermi o cambiare”.