di Elena Coatti
È con parole taglienti e un’indignazione che non cerca compromessi che i collettivi Ferrara Transfemminista e Out!* prendono posizione in occasione del 17 maggio, giornata contro l’Omolesbobitransfobia. Ma questa volta, i riflettori non sono puntati su forze apertamente reazionarie o dichiaratamente omofobe. L’accusa, dura e diretta, è rivolta ad Arcigay Ferrara e Udi Ferrara.
Secondo i collettivi, le stesse associazioni nate per tutelare le soggettività Lgbtqia+ avrebbero tradito la propria missione in nome della visibilità, del compromesso istituzionale e, soprattutto, della capitalizzazione politica. “È valsa la pena svendere i nostri corpi e le nostre lotte per una manciata di passerelle, di gadget e patrocini a degli sponsor che oggi stanno ritirando la partecipazione ai Pride, allineandosi alle politiche nazionali e internazionali di ultra destra?”, scrivono.
Al centro della denuncia c’è il Pride di Ferrara, definito dai collettivi “non accessibile e compromesso da una collaborazione ambigua con la giunta comunale di destra”. Una giunta, ricordano, in cui siedono forze politiche – Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia – “che hanno costruito la propria credibilità anche su posizioni dichiaratamente omotransfobiche”.
“Come può un’associazione per i diritti Lgbtqia+ collaborare con chi lavora ogni giorno per negarceli?” si chiedono, puntando il dito contro un attivismo che, a loro dire, si è piegato a logiche istituzionali svuotando la lotta di ogni potenziale radicale e trasformandola in uno spazio di visibilità politica, egemonico e maschilista.
Ma la rabbia non si ferma ad Arcigay. Udi Ferrara viene chiamata in causa per non aver preso le distanze da un comunicato nazionale trasmesso in vista delle manifestazioni per l’8 marzo, considerato transfobico. Tale comunicato recitava quanto segue: «Da alcuni anni, tuttavia, proviamo sconcerto per l’uso di parole neutre a base di asterischi: come può essere celebrata la giornata delle donne, se si rifiuta la parola “donna”? E l’estetica truce dei cortei, con i fumogeni e a volto coperto, non fa pensare al femminismo, che è conflittuale ma non violento. […] Trans-misoginia, trans-cidi, trans-femminismo sono concetti che sovrascrivono misoginia, femminicidi, femminismo. Le sinistre da sempre difendono i vulnerabili e sembrano oggi dare centralità ai corpi trans».
Nonostante un appello pubblico e una mail privata, la mancata risposta da parte di Udi Ferrara viene vissuta come una scelta chiara, una presa di posizione implicita ma inequivocabile: “Il silenzio non è solo complice. È carnefice”, scrivono.
La critica non si limita alle associazioni. C’è una condanna più ampia al pinkwashing delle istituzioni: panchine arcobaleno, patrocini alle giornate commemorative e promesse vuote non bastano. “Vogliamo percorsi reali, spazi sicuri, educazione al consenso e leggi che ci proteggano”. La sicurezza non si conquista con l’estetica o le celebrazioni simboliche, come spiegano i collettivi, ma con la trasformazione reale dei contesti sociali e politici.
“Le nostre bandiere rappresentano le nostre lotte, non sono emblemi per la vostra propaganda capitalista, egemone e coloniale”. Questo è il messaggio finale che arriva forte e chiaro in una giornata simbolica per la comunità queer. Il centro della scena lo occupa una frattura interna, una spaccatura che interroga chi, nel nome dei diritti, rischia di diventare parte del problema.
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