di Elena Coatti
“Dal 7 ottobre 2023, io e la mia famiglia abbiamo vissuto uno stato di totale isolamento. Nessuno ci ha chiesto come stavamo. Le uniche telefonate che ho ricevuto erano per sapere se condannassi l’attacco di Hamas o meno. Nient’altro”.
Le parole di Milad Jubran Basir, giornalista italo-palestinese, alla cerimonia di intitolazione della sede di Avs e Possibile a Hossam Shabat, sono un colpo diretto al cuore dell’indifferenza. Un lungo e intenso intervento che racconta non solo l’orrore del presente, ma anche il silenzio di un Paese che, secondo il giornalista, ha smarrito la sua storica solidarietà con la causa palestinese.
Basir è in Italia da 41 anni. A Forlì ha costruito la sua vita: laureato in Economia e commercio all’Università di Bologna, sindacalista nella Cgil, con un passato nell’Unrwa, impegnato nel sociale e nella politica, da sempre in prima linea per aiutare il prossimo. Eppure, nonostante radici profonde nel territorio, racconta di aver vissuto una pesante marginalizzazione.
Un silenzio assordante, che si è fatto barriera anche nei luoghi dove Basir ha passato decenni a costruire relazioni: tra colleghi, compagni di partito o semplici cittadini. “Lavoro da tantissimi anni in ambito sociale, sono molto conosciuto a Forlì. Ma dopo il 7 ottobre, la gente mi evitava. Come se avessero paura di me”.
Anche nel suo percorso professionale, la sua identità palestinese è stata speso un ostacolo: “Non è stato facile per me, da italo-palestinese, iscrivermi all’albo dei giornalisti. Un percorso in salita, pieno di diffidenze. E ancora oggi, faticosamente, cerchiamo di raccontare la nostra narrazione”.
Il suo è un appello rivolto a tutta la categoria: “Come ci ha ricordato il giovane Hossam Shabat, i giornalisti non possono voltarsi dall’altra parte. Più di 220 giornalisti palestinesi sono stati uccisi, un numero mai raggiungo in nessun conflitto. Si sta tentando di eliminare chi testimonia la verità”.
E raccontare è diventato sempre più difficile. Anche nei cortei, anche nelle manifestazioni per la pace, dove ci si aspetterebbe solidarietà. “Qualche anno fa, durante una manifestazione contro l’assalto fascista alla Cgil, avevo con me la bandiera palestinese. Diversi compagni mi hanno chiesto di chi fosse quella bandiera. Non la riconoscevano. Sono rimasto scioccato.”
Un pezzo d’Italia, quella che Basir ricorda attenta, solidale, partecipe, sembra non esserci più. Negli anni ’90, ricorda, “la Palestina era all’ordine del giorno nei partiti, nei sindacati, nei dibattiti”. Oggi, invece, il vuoto. “Un silenzio assordante anche da parte delle istituzioni, del giornalismo, della politica”.
Nelle sue parole, la testimonianza si mescola alla denuncia. Non solo della tragedia umanitaria a Gaza, ma anche dell’assenza di voce, di spazio e di rispetto per chi, come lui, vive in Italia e porta nel cuore e nella penna una verità scomoda. Il suo intervento è terminato con un invito accorato ai colleghi italiani: quello di non tacere, di non lasciarsi anestetizzare dall’abitudine o dalla paura. “Vogliamo solo che si rispetti il diritto internazionale. Non chiediamo pietà, ma giustizia”.
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