Attualità
6 Aprile 2025
Così il vicario generale della curia di Ferrara dopo l'assegnazione del premio stampa: "Fu istituita dall’Arcivescovo Mosconi il 4 novembre 1973 (e due giorni dopo nacque quella di Comacchio)"

Manservigi ripercorre i cinquant’anni di Caritas

di Redazione | 11 min

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L’intervento del vicario generale della curia di Ferrara don Massimo Manservigi durante il conferimento alla Caritas diocesana del Premio Stampa per “l’impegno concreto e quotidiano a beneficio delle persone bisognose di aiuto che dà lustro al territorio per l’elevato valore delle iniziative realizzate in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi”.

di don Massimo Manservigi

Un avvicendarsi di volti, storie, luoghi. Di incroci di vite riscattate nel dono dato e in quello ricevuto. Una narrazione poco appariscente ma che nei solchi del quotidiano ha scavato in profondità nella carne di esistenze altrimenti dimenticate, abbandonate. È questo, e molto di più, la storia della nostra Caritas diocesana, una storia che nel 2023 ha festeggiato i primi 50 anni di vita.

La Caritas diocesana di Ferrara fu istituita dall’Arcivescovo Mosconi il 4 novembre 1973 (e due giorni dopo nacque quella di Comacchio) e dotata di un proprio statuto, nel quale venivano recepiti gli scopi proposti nella bozza di statuto per le Caritas diocesane stilata dal Consiglio Permanente della CEI del febbraio 1973. La Caritas Italiana venne invece costituita due anni prima, il 2 luglio 1971.

ANNI ’70 E ’80
L’Arcivescovo Mosconi nomina come primo segretario della Caritas di Ferrara (allora la carica si chiamava così) mons. Francesco Ravagnani, allora parroco di S. Paolo a Ferrara, e dedica la prima domenica di quaresima alla Caritas diocesana, intitolandola la “giornata della carità”, con l’invito “Date e vi sarà dato”. Col ricavato annuale viene costituito il “fondo diocesano di solidarietà”. E fin da subito fu stretto il legame con la missionarietà.

Come racconta Miriam Turrini (in Dalle “retrovie” delle missioni alla Chiesa tutta missionaria. Il Centro missionario diocesano di Ferrara-Comacchio (1929-2000), Cedoc SFR, Ferrara 2017), «la Quaresima del 1978 fu (…) vissuta in collaborazione tra Ufficio missionario e Caritas diocesana, che in quegli anni pare comunque faticare a trovare un proprio specifico spazio, stretta fra il ricordo della Pontificia Opera di Assistenza e le iniziative caritative libere e spontanee. Sul “Bollettino ecclesiastico” del 1978 il segretario della Caritas ferrarese, mons. Francesco Ravagnani, tentava un chiarimento e auspicava una collaborazione tra le forze in campo, presentando la Caritas come “un organo pastorale che promuove e coordina l’attività caritativa e assistenziale della chiesa locale”».

Sfogliando “La Voce” dell’ultimo mezzo secolo, scopriamo come a Comacchio «la Commissione Pastorale “Caritas” diocesana, in data 12 dicembre 1973, si è riunita al completo per la formazione di un programma annuale di massima». E insieme all’organizzazione delle prime opere, mons. Francesco Ravagnani ci tiene a specificare quale sia l’essenza della Caritas di Ferrara. In alcuni articoli del febbraio ’74 si specifica innanzitutto che «”carità” in tutto questo contesto non è sinonimo di “assistenza”». «L’elemosina è stata l’espressione più tipica di carità. Senza voler disprezzare quanto di sincero, di sempre valido e di utile vi possa essere in ciò, però sono evidenti due gravi errori in questa impostazione. Ora non si tratta più soltanto di soccorrere il bisognoso; la cosa fondamentale è riconoscerlo come uguale, desiderare il suo sicuro sviluppo come essere umano, affinché in un clima di giustizia e di libertà possa realizzarsi come tale». Scopi specifici della Caritas diocesana sono «animazione della carità nelle Chiese locali; coordinamento delle attività assistenziali; studi e ricerche su problemi assistenziali; formazione del personale assistenziale; interventi di emergenza; aiuti al terzo mondo». E ancora: «La Caritas diocesana non va configurata come una sezione territoriale della Caritas Italiana, ma come espressione originale di ogni Chiesa particolare».
Nel ’76 la Caritas guidata da mons. Ravagnani lancia raccolte fondi per i terremotati del Guatemala, per i disoccupati locali della S.A.I.M.M. (che produceva macchine agricole) e S.A.D.A. (Società Anonima Distilleria Agricola) e per i terremotati del Friuli e della Turchia.
Nel primo decennale (novembre 1983) vengono resi pubblici i nomi dei membri della nuova Commissione Caritas della Diocesi di Ferrara: oltre a don Silvio Padovani (nuovo Direttore) e al Vescovo Maverna (Presidente), ci sono mons. Francesco Ravagnani (ex Direttore), padre Atanasio Dudri (S. Spirito), don Gianalfredo Deponti (S. Benedetto), Francesco Gunther, Giovanni Pietrogrande, Velino Tonioli, Alfredo Santini, Giuliana Calzolari, Franca Pozzati, Angela Cervellati, Andrea Bregoli e suor Vincenzina Nadalin (Istituto Sacro Cuore).

ANNI ’90: NASCE IL CENTRO DI ASCOLTO
Facciamo un salto e arriviamo al 1994. «Sabato 22 gennaio alle ore 15 al Cenacolo – si comunica sulla “Voce” di inizio anno – parte il primo incontro formativo organizzato dalla Caritas diocesana rivolto in particolare ai gruppi delle Caritas parrocchiali e ai Consigli pastorali parrocchiali. L’incontro sarà guidato da fratel Italo Pasetti, responsabile diocesano degli Obiettori Caritas che parlerà sul tema “Dall’elemosina all’amore evangelico: riflessione sul cap. 25 del vangelo di Matteo”». Quella degli Obiettori passati per la nostra Caritas è una storia che meriterebbe un discorso a parte: centinaia di giovani che hanno dedicato anni della propria vita al servizio degli ultimi della nostra città, un segno di pace concreto e che ha trasformato le loro esistenze.

Prima del 1994 la Caritas faceva principalmente distribuzione di indumenti assieme alle suore del vicino Istituto Sacro Cuore di via Borgo di Sotto, oltre ad aiutare economicamente chi aveva bisogno. Nel ’94 in via Brasavola a Ferrara la Caritas guidata dal ’93 da don Paolo Valenti apre il Centro di Ascolto (intitolato al Beato Giovanni Tavelli da Tossignano, Vescovo fondatore del primo nucleo dell’Ospedale S. Anna), punto di riferimento fondamentale per la città: così, la Caritas inizia il trasferimento dalla Curia Arcivescovile alla zona di Borgovado. Il Centro viene costruito con l’importante contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara. Spiegava don Valenti: «Vengono da noi ex carcerati per le prime necessità, extra comunitari, i senza fissa dimora, i nomadi e, più di quanto si possa immaginare, le famiglie povere della città segnalate dalle Conferenze S. Vincenzo e dalle parrocchie».

Sempre don Valenti, nel fare il bilancio del suo primo anno da Direttore Caritas diocesana, spiegava a “La Voce”: «Gli albanesi che finora vi erano ospitati [negli ambienti di via Brasavola, ndr] sono andati altrove perché hanno superato bene la fase di emergenza e possiamo ritornare al progetto iniziale». Il Centro di Ascolto è «dotato di una mensa per i poveri di passaggio, un dormitorio, un punto per la raccolta e la distribuzione di generi alimentari e indumenti. Ma soprattutto il Centro dovrà diventare il luogo al quale rivolgersi per tutte le necessità, liberando così l’Ufficio Caritas della Curia che potrà dedicarsi con più attenzione ai suoi compiti pastorali». Nel Centro di Ascolto sono attivi fin da subito una decina di volontari, 6 obiettori di coscienza condivisi con Casa Betania, Suor Lanfranca delle Suore della Carità e don Giovanni De Togni. Da lunedì al venerdì nella mattina tutti sono impegnati nell’ascolto delle persone e nella distribuzione di generi alimentari e di vestiario. Il Centro dispone anche di cinque camere per ospitare di notte i senza tetto.

CASA BETANIA E LA NUOVA MENSA PER I POVERI
E a proposito di ospitalità, lo stesso don Valenti parlava di Casa Betania. Ex sede dell’asilo “Grillenzoni”, terminata tale funzione, il Comune la cedette alla Caritas, allora diretta da don Silvio Padovani, «con lo scopo di raccogliere studenti universitari stranieri anche attraverso l’ausilio di una piccola comunità di religiose Nigeriane»: «guidata da Gennaro Sitta, ospita oggi [nel 1994, ndr] 30 studenti provenienti da Paesi in via di sviluppo. Il silenzio nel quale svolge il lavoro purtroppo forse la fa scomparire dall’attenzione dei ferraresi e quasi rifluire nel privato. Betania invece è un’opera della diocesi e vive dell’aiuto di tutti. Perché per esempio le famiglie e le parrocchie non si fanno carico del mantenimento di uno studente?».
Nell’ottobre del ’94 la Caritas diocesana risponde a un’altra necessità: quella di una mensa per i poveri, che inaugura il 6 ottobre ed è aperta dalle 13 alle 14, con, per iniziare, «una ventina di pasti confezionati nella cucina del Seminario».

Nel 2004, primo decennale della mensa, don Valenti racconterà a “La Voce”: «Nei primi mesi del mio incarico, mi accorsi che gran parte delle richieste che giungevano al nostro Ufficio riguardavano l’esigenza di un pasto caldo. L’unica risposta allora possibile era dare un po’ di denaro in mano, anche se mi resi conto che questa non poteva essere la soluzione, per un motivo molto semplice: dare denaro direttamente non consentiva un adeguato controllo sull’effettivo utilizzo di quella risorsa, che spesso finiva per arricchire i bar e fomentare il disagio dell’alcolismo, o peggio della droga, nonché dell’accattonaggio. Nacque così l’esigenza di avere una struttura adeguata che potesse fornire una minima risposta, che venne individuata nell’attuale sede della mensa di via Brasavola». Nel 2004, grazie a circa 80 volontari, vengono serviti oltre 300 pasti. «Durante questi dieci anni – sono ancora parole di don Valenti nel 2004 – si sono verificati cambiamenti, ma sostanzialmente le tipologie restano le stesse: immigrati, anziani che vengono per mangiare in compagnia e non in solitudine, studenti universitari stranieri che risparmiano i soldi della mensa universitaria, e a volte tossicodipendenti». Sempre nel 2004, un incontro in Arcivescovado e una S. Messa in Duomo festeggeranno i primi dieci anni di questo servizio ancora oggi così fondamentale.

ANNI ’90: GLI ALTRI SERVIZI
Gli anni ’90 vedono anche la nascita nel ‘95 di un «ambulatorio medico servito da una ventina di medici volontari, aperto da mezzogiorno all’una», per gli extracomunitari. Inoltre, raccontava sempre don Valenti, «oltre a “Casa Betania”, in via Borgovado, 7, dove viene data ospitalità a 27 studenti stranieri, è stato appena terminato il Centro di Accoglienza a Comacchio, che avrà gli stessi servizi di Ferrara (…). Per settembre è in programma, e hanno già aderito una ventina di dentisti, l’apertura di un ambulatorio dentistico per indigenti (…). Va poi ricordato che la Caritas fornisce anche un servizio di consulenza legale gratuito, che può contare su una decina di avvocati presenti una volta alla settimana, – il venerdì pomeriggio, per due ore -, particolarmente esperti nei problemi che riguardano gli extracomunitari». Un’azione a 360 gradi, dunque. E siamo nel ’98. Un anno dopo, l’annuncio del progetto di trasformazione di Casa Betania in luogo di accoglienza per donne, ragazze-madri, famiglie di ospedalizzati residenti fuori Ferrara, anche in vista del Giubileo del 2000.

Ma i lavori da fare si riveleranno più importanti di quel che ci si aspettava. È sempre don Paolo Valenti a raccontare a “La Voce” nel maggio 2013 la ristrutturazione di Casa Betania (resa possibile soprattutto coi fondi dell’8xmille, dalla vendita di un appartamento donato alla Caritas, e da offerte), in occasione della sua riapertura: «La casa avrà diversi punti di accoglienza importanti. In primis, l’apertura dell’ambulatorio medico con l’aggiunta di quello dentistico. Nel 1995 avevamo già un ambulatorio medico al servizio di tutti i cittadini extracomunitari non in regola o clandestini (…)». Esperienza che divenne inutile quando la legge nazionale garantiva l’assistenza sanitaria a tutti indipendentemente dallo stato di regolarità. Ma poi si rese obbligatoria la segnalazione dei cittadini irregolari o clandestini, e quindi l’affluenza alla e strutture sanitarie è calata drasticamente. Poi, il dormitorio per donne: «5-6 posti in tutto, che sono un nulla per l’emergenza notte» e «rivolta particolarmente alle donne che hanno subito violenza o problemi famigliari (…). Poi ci saranno 4 mini appartamenti che saranno destinati a famiglie di ospedalizzati o carcerati che vengono da fuori Ferrara (…). Un’altra parte della Casa, un tempo occupata dagli obiettori di coscienza, sarà destinata al servizio civile nazionale e internazionale (…). Inoltre in un’altra ala si creerà una lavanderia che verrà utilizzata soprattutto dalle donne assistite (…). Al secondo piano ci saranno poi sei camerette per studentesse universitarie».

FALAGUASTA RICORDA DON VALENTI
Vorrei concludere questo mio intervento ricordando ancora il nostro compianto don Paolo Valenti, tornato al Padre il 28 agosto 2022. Lo farò usando le parole che Paolo Falaguasta, suo successore alla guida della Caritas Ferrara, usò nei giorni successivi per ricordarlo.

«Non ci abbandona mai chi lascia un ricordo indelebile nelle nostre vite. E così è e sarà sempre per me don Paolo. Il ricordo parte da lontano, quando arrivai poco più di vent’anni fa a Ferrara per studio e per svolgere servizio civile e trovai nella Caritas un luogo di accoglienza e di amicizia e nella persona di don Paolo un riferimento sicuro e fraterno, o meglio paterno. Da allora è sempre rimasto tale. Presenza importante e formativa nei momenti più difficili o quando incominciai a lavorare in Caritas o ancora quando arrivai alle tappe fondamentali della mia vita: il matrimonio, il battesimo delle mie figlie, il ruolo in Caritas da lui sempre appoggiato. Persona corretta e disponibile con tutti, pacata nei modi, ma irremovibile di fronte a certe scelte, volte al rispetto e all’aiuto dell’altro, indipendentemente dalla sua provenienza o dal suo vissuto, espressione vera dell’Amore del Signore, di cui lui sapeva nutrirsi e parlare in modo chiaro e profondo. Ricordo molti incontri di esegesi biblica da lui guidati, da cui non si poteva uscire indifferenti: parole semplici ma incisive e cariche di quella passione per il Signore, di cui lui era vero testimone. La Caritas diocesana tanto deve a don Paolo», continuava Falaguasta.

«Progetti che ha saputo portare avanti con fermezza ed entusiasmo e condividere con chiunque volesse costruire con lui quel sogno, arrivando a coinvolgere centinaia di volontari. È con lui che è nata la mensa, che è rinata Betania come centro di accoglienza per mamme e bimbi, che si sono attivati aiuti per i terremotati, per i profughi, per i nomadi e l’elenco potrebbe essere ancora lungo perché tanto è stato il bene che don Paolo ha seminato. E come non ricordare le chiacchierate per concretizzare questi progetti, dialoghi profondi ed amichevoli che tenevano conto delle opinioni di tutti, ma che avevano sempre chiaro l’obiettivo da raggiungere. Immenso sarà il vuoto che don Paolo lascerà nella vita di molti, come nella mia, anche se sarà sempre presente con le sue azioni e la sua testimonianza».

*viario generale della curia di Ferrara

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