Condannata a sedici anni per l’omicidio di Denis Bergamini, Isabella Internò, ex fidanzata del centrocampista ferrarese del Cosenza ucciso il 18 novembre 1989 lungo la SS106 Jonica, a Roseto Capo Spulico, fa appello contro la sentenza pronunciata – lo scorso ottobre – dalla Corte di Assise del tribunale di Castrovillari.
Per i legali difensori della donna infatti, gli avvocati Angelo Pugliese e Rossana Cribari, “si è tentato nei modi più disparati di descrivere il caso Bergamini come il delitto perfetto, senza alcuna prova a carico” della loro assistita, che è stata condannata dopo “una istruttoria dibattimentale complessa e articolata” caratterizzata dall’ascolto di “molteplici testimoni, la maggioranza dei quali non presenti nei luoghi del decesso di Bergamini o sopraggiunti a distanza di oltre vent’anni dai fatti a seguito di colloqui intrattenuti con i congiunti del giovane calciatore o con gli avvocati della famiglia del calciatore”.
A questi – proseguono i difensori – “incredibilmente, in spregio a qualsivoglia logica” la Corte di Assise ha ritenuto di “dover attribuire maggior valore probatorio rispetto alle testimonianze di chi, presente sui luoghi, è stato liquidato come inaffidabile o la cui deposizione è stata ritenuta ininfluente ai fini della ricostruzione degli accadimenti”. Non solo, secondo gli avvocati, alcuni testimoni oculari sono stati “liquidati sulla scorta di ipotetiche congetture, teorie complottistiche, che non dovrebbero aver luogo in un’aula di giustizia, soprattutto se provenienti da chi dovrebbe garantire l’applicazione della legge”.
Si sarebbe così ricostruito – si legge nelle 556 pagine depositate per la richiesta d’appello – un “mosaico a senso unico, intrinseco della narrazione romanzata degli accadimenti di natura meramente inquisitoria, non dedicando tempo neppure alla confutazione degli elementi prospettati dalla difesa”. Per Pugliese e Cribari, quindi, durante il processo, “si è tentato nei modi più disparati di descrivere il caso Bergamini come il delitto perfetto senza alcuna prova a carico”.
Dubbi per gli avvocati ci sono sulla causa della morte di Denis Bergamini. “Non è stato possibile accertare – scrivono – quando sarebbe stato ucciso, dove sarebbe stato ucciso, da chi sarebbe stato ucciso e con che modalità sarebbe stato ucciso“. E aggiungono che non è stata raggiunta la “certezza al di là di ogni ragionevole dubbio” nemmeno sulla “condotta, come mandante o esecutrice” del fatto a Isabella Internò, tant’è che “il dibattimento non è riuscito a superare le incertezze circa la presenza o meno di terze persone sulla ipotetica scena del crimine”.
Pugliese e Cribari affermano: “Non è stato provato scientificamente al di là di ogni ragionevole dubbio che Bergamini sia stato ucciso. Il processo ha offerto solo incertezze e interrogativi che, probabilmente, rimarranno irrisolti e che sicuramente stridono con il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio”. E, a tal proposito, spiegano come “l’analisi delle prove condotta dal giudice risulta superficiale, frammentaria e viziata da evidenti errori logico-giuridici, che rendono la ricostruzione fattuale lacunosa e contraddittoria”.
Nel loro appello, gli avvocati chiedono quindi alla Corte d’Appello di Catanzaro di esprimersi, in via preliminare, sulla nullità del giudizio di primo grado, sulla nullità del decreto di riapertura delle indagini preliminari e di assolvere Internò perché il fatto non sussiste. In via subordinata chiedono sentenza di assoluzione perché manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste. In via ulteriormente subordinata, avanzano richiesta per l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione con la riqualificazione del fatto contestato in omicidio preterintenzionale. Infine, qualora le prospettazioni difensive non dovessero trovare accoglimento, chiedono la rideterminazione della pena con l’esclusione delle circostanze aggravanti dei motivi abietti o futili e della premeditazione.
A proposito di aggravanti, anche la Procura di Castrovillari ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna per Isabella Internò, limitatamente alla decisione della Corte di Assise di concedere alla donna la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche su quelle aggravanti.
Oltre a rilevare un’erronea applicazione della legge penale da parte della Corte, a sostegno della loro richiesta, il procuratore capo Alessandro D’Alessio e il pm Luca Primicerio evidenziano la falsità della versione dei fatti fornita da Isabella Internò alle autorità inquirenti sin dalle sue prime dichiarazioni, oltre che ai suoi famigliari, il conseguente inquinamento probatorio, l’efferatezza dell’omicidio e il fatto che la donna non abbia manifestato alcuna forma di resipiscenza.
A ciò si aggiungono poi – secondo la Procura – l’insidiosità della condotta dell’imputata e le riconosciute circostanze aggravanti della premeditazione e del motivo abietto e futile, oltre che la pervicacia con cui ha mantenuto ferma la propria versione dei fatti nel corso dei trentacinque anni. “Con tale condotta, l’imputata – scrivono i magistrati – ha dimostrato di non avere alcun ripensamento e di non avere in alcun modo rimeditato la sua esperienza e di tutto ciò la Corte non ha offerto alcuna valutazione, quantomeno in confronto con il ragionamento seguito circa il venire meno della funzione preventiva della sanzione penale, incorrendo nel vizio di omissione di motivazione su un punto qualificante della propria decisione”.
Per l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Bergamini, che ritiene condivisibile il ricorso per Cassazione della Procura, l’appello degli avvocati di Isabella Internò è un “atto che ci aspettavamo, in cui ci sono argomentazioni già proposte in primo grado e già risolte brillantemente dalla Corte di Assise di Cosenza e che ora dovrà valutare la Corte d’Appello”.
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