Licenziati per paura. È la decisione che presero i quattro dipendenti del bar Big Town qualche giorno prima della ‘mattanza’ nel locale di via Bologna, il 25 agosto 2023, quando il 42enne Davide Buzzi, non trovando Mauro Di Gaetano dietro al bancone, minacciò due di loro, chiedendo di abbassare la saracinesca e di pagare 3mila euro di pizzo. Se non avessero ubbidito entro il 25 settembre, la promessa era quella di bruciare l’attività in una sorta di vendetta personale per la morte del figliastro Edoardo Bovini, avvenuta il 13 agosto fuori dal locale per un arresto cardiaco.
A raccontare in aula quel clima di intimidazioni è il più anziano degli ex dipendenti del Big Town, 32 anni, sentito ieri (5 dicembre) come testimone nel processo che vede alla sbarra Giuseppe e Vito Mauro Di Gaetano, padre e figlio, con la duplice accusa di omicidio volontario aggravato e tentato omicidio, per l’uccisione di Buzzi e il grave ferimento del 22enne Lorenzo Piccinini.
“Quella sera – ricorda il 32enne – nessuno di noi era in servizio. Ci eravamo licenziati dopo che una settimana prima, il 25 agosto, avevamo ricevuto una minaccia e non ci sentivamo più in un luogo sicuro in cui lavorare. Eravamo io e un mio collega (anche lui chiamato a testimoniare, ndr) quando arrivò Buzzi nel locale, che era un nostro cliente, molto alterato. Sembrava avesse assunto alcolici. Era sera tardi, Mauro era in centro e c’erano ancora clienti. Normalmente era tranquillo, ma quella sera era molto arrabbiato. Io volevo fargli le condoglianze per la morte del suo figliastro, andai per abbracciarlo e si tirò indietro. Batté i pugni su un tavolino, ci disse di spegnere le musica e di chiudere il locale, sennò ci avrebbe dato fuoco”.
Il barista ubbidì: “Entrai nel locale, staccai la musica e chiesi ai clienti di uscire. Andandosene ci disse di riferire a Mauro che avrebbe dovuto pagare il pizzo. Impauriti chiudemmo il locale senza pulire nulla e contattammo subito Mauro che, successivamente, incontrammo in via Ripagrande. Casualmente ci raccontò che anche lui, quella sera, mentre era insieme a un altro nostro collega, aveva incontrato Buzzi, che gli aveva tirato uno schiaffo e poi chiesto di pagare il pizzo. Mauro ci chiese di tornare al locale per fare le pulizie e riaprire, ma inizialmente ci opponemmo perché non ci sembrava il caso. Alla fine tornammo per sistemare, ma gli dissi che non sarei tornato a lavorare e lo stesso fecero i miei colleghi”.
L’ex dipendente spiega i motivi della decisione, non solo dovuti alle minacce di Buzzi: “Ero stanco di lavorare al Big Town. Non c’era un ambiente bello. I ragazzi facevano uso di droghe in distesa e c’erano frequenti risse, almeno una al mese. Quanto a Buzzi, sapevo che era un tipo particolare e che in passato aveva tirato un pugno a un ragazzino in discoteca, anche se con noi si è sempre comportato in maniera corretta. Anche Piccinini veniva al locale ma non poteva più frequentarlo a causa di una rissa. Ogni tanto però tornava, non entrava e rimaneva fuori in distesa”.
Le dimissioni non furono subito accettate da Mauro Di Gaetano, che provò a convincere i suoi dipendenti a restare, come si evince da alcune chat Whatsapp mostrate in aula. Le stesse chat in cui il 32enne, rivolgendosi al titolare, il 26 agosto, a proposito della morte di Bovini, scrisse “sapevo che quella tragedia avrebbe portato a delle ripercussioni e noi ci siamo messi in casa persone pericolose“. Per contro, dopo averli rassicurati, mettendoli al corrente della denuncia sporta in Questura, il 28 agosto, Di Gaetano fece sapere ai dipendenti dei provvedimenti che stava prendendo e delle rassicurazioni che aveva ricevuto per arginare il problema: più ronde delle pattuglie, un addetto della vigilanza nel fine settimana, una sua maggiore presenza e un tasto sotto il bancone di quelli che, in collegamento con la centrale operativa, lanciavano l’allarme agli istituti di vigilanza.
A installarglielo, il 31 agosto, un giorno prima della ‘mattanza’, fu Davide Modesti della CoopService, contattato da Mauro Di Gaetano tra il 26 e il 27 agosto: “Mi spiegò che il suo bar era stato preso di mira col rischio di attacchi vandalici o incendi, raccontandomi l’episodio in cui Buzzi si era presentato nel locale, minacciandolo. Gli montai l’allarme collegato all’istituto di vigilanza e il taso anti-rapina. Quel 1° settembre l’allarme del tasto arrivò e mandammo una nostra automobile sul posto, ma quando arrivò c’erano già ambulanze e carabinieri”.
Ieri, in aula, sentiti anche due avventori che, la sera del 1° settembre, erano davanti al Big Town e chiamarono le forze dell’ordine quando scoppiò il caos. Il primo racconta che, mentre stavano parlando, Mauro Di Gaetano urlò “Eccoli, sono loro, sono arrivati” e, una volta uscito dal locale, sentì “rumore di botte”. Il secondo invece ricorda di aver visto scendere dall’automobile Buzzi e Piccinini, che poi “entrarono di fretta, in modo diretto nel locale” col 42enne che aveva in mano una tanica, la mostrò e poi “arrivarono alle mani”. “Avevano molta rabbia – aggiunge – e molta spinta, molta determinazione. Vidi Buzzi partire per primo e tirare uno schiaffo al più anziano dei due (Giuseppe Di Gaetano, ndr) che cadde per terra e batté la testa. Quest’ultimo poi si alzò e uscì dal locale, mentre Buzzi lanciò una sedia“. Dopodiché, l’avventore ricorda di essersi allontanato dal bar e, una volta affacciatosi, trovò la vittima “stesa a terra, il locale distrutto e pieno di sangue”.
Si torna in aula giovedì 16 gennaio.
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