Cronaca
6 Dicembre 2024
Il retroscena emerge dalla testimonianza di Valentina Aleotti, moglie di Vito Mauro Di Gaetano, sentita in tribunale nel processo che vede alla sbarra suo marito e suo suocero Giuseppe

Big Town. Il coltello della mattanza dentro un borsone: “Buttalo”

di Davide Soattin | 4 min

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Infilato nella borsa dei vestiti puliti, consegnato alla nuora e gettato nel bidone dell’indifferenziato per qualche ora, fino a quando un ‘ripensamentodavanti ai carabinieri da parte della donna ne permise il ritrovamento e il successivo recupero tra i sacchetti dell’immondizia.

È la fine del coltello serramanico giallo che – secondo la Procura di Ferrara – Giuseppe Di Gaetano aveva usato per la ‘mattanza‘ del bar Big Town di via Bologna del 1° settembre 2023, quando venne ucciso il 42enne Davide Buzzi e ferito il 22enne Lorenzo Piccinini.

Il retroscena emerge dalla testimonianza di Valentina Aleotti, moglie di Vito Mauro Di Gaetano, sentita ieri (5 dicembre) in tribunale nel processo che vede alla sbarra suo marito e suo suocero Giuseppe, con la duplice accusa di omicidio volontario aggravato e tentato omicidio.

Lo ‘scambio’ del borsone con dentro l’arma bianca – racconta la donna – era avvenuto poche ore dopo la tragedia, quando i due odierni imputati erano stati trasferiti nel comando provinciale dei carabinieri e Aleotti aveva portato un ricambio per Giuseppe, che aveva i vestiti insanguinati.

A prendere la borsa in consegna i carabinieri che, dopo averla data a Di Gaetano padre, la restituirono alla donna, ignara – così come i militari del 112 – che dentro ci fosse nascosto il coltello. Solamente una volta arrivata a casa, aprì la cerniera e trovò la lama ancora sporca di sangue.

“Al momento dei saluti, Giuseppe mi si avvicinò e pare mi sussurrò «buttalo» all’orecchio” ripercorre quegli attimi Aleotti. Sul momento la donna non capì a cosa si riferisse l’uomo poi, quando fece per aprire il borsone, dentro ci trovò l’arma. “Misi subito la borsa sul terrazzo – aggiunge – e, il giorno successivo, lavai il coltello nel lavandino del bagno usando dell’igienizzante e successivamente lo buttai nel cassonetto dell’indifferenziato di fronte a casa nostra, dopo averlo messo dentro a due sacchetti per raccogliere i bisogni del cane”.

Il tentativo di disfarsene però durò pochissime ore. “I carabinieri vennero per due volte a casa nostra” prosegue. “La prima volta non mi chiesero niente, la seconda invece, su loro richiesta, dissi subito dov’era e lo recuperarono“. Per la donna comunque non si può configurare il reato di favoreggiamento che sarebbe previsto dalla situazione. Secondo l’articolo 384 del Codice penale, infatti, “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore”.

Rispondendo alle domande della pm Barbara Cavallo, la donna parla anche delle contromisure prese dal marito dopo la prima aggressione del 25 agosto 2023, quando Buzzi – oltre che andare al Big Town per obbligare i dipendenti ad abbassare la saracinesca, minacciandoli di dare fuoco al locale – tirò uno schiaffo in faccia a Vito Mauro, dopo avergli intimato – secondo la ricostruzione avanzata dagli inquirenti – il versamento di 3mila euro che lui stesso definiva un pizzo.

“Il giorno dopo, il 26 agosto, Mauro – afferma la moglie – andò in Questura a chiedere consigli. Nella circostanza parlò con un ispettore della Squadra Mobile e sporse denuncia. Gli dissero che non avrebbero potuto fare niente ma che, se Buzzi si fosse fatto vivo o fosse passato di nuovo, avrebbe potuto contattarli immediatamente, che si sarebbero attivati. Contestualmente inviò anche un messaggio all’allora vicesindaco Nicola Lodi, contattò la CoopService per installare un sistema di allarme e si attivò con la Securfox per avere un buttafuori”.

La volontà infatti, nonostante le minacce, era quella di continuare a tenere aperta l’attività: “Avevamo pensato di chiudere per un po’, ma a livello economico avevamo delle difficoltà e il locale era l’unico modo per poter sostenere la nostra famiglia“. E così, dopo il licenziamento dei quattro dipendenti, a seguito dell’episodio del 25 agosto, la moglie, i genitori di lei e il padre di lui, decisero di turnarsi a fianco di Mauro “per fargli compagnia e aiutarlo nell’eventualità in cui fosse da telefonare alle forze dell’ordine se qualche malintenzionato si fosse presentato al locale”.

La sera del 1° settembre, quando avvenne la ‘mattanza’, insieme al titolare del bar c’era suo padre Giuseppe. “Non sapevo se mio suocero fosse armato quella sera, so solo che avrebbe dovuto fare quello che facevo io” spiega la donna che, singhiozzando, tra le lacrime, prova a ripercorrere l’accaduto.

“Io ero a casa – dice – e mi ricordo che l‘app del pulsante antipanico che avevamo installato si attivò sul nostro telefono. Chiamai mio marito che rispose e disse qualcosa come «è tornato» e che Giuseppe era stato colpito. In quel momento telefonai a un mio amico perché le gambe non mi reggevano e mi feci accompagnare al locale in auto. Quando arrivai vidi ambulanze, carabinieri e la zona transennata dai sigilli. Passai davanti al locale e vidi che era pieno di sangue. Mio marito era sconvolto e stava piangendo. Poi mi passò davanti agli occhi la barella con Buzzi, che era scoperto per metà” conclude la donna nel pianto.

Si torna in aula giovedì 16 gennaio.

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