Inaugurata alla presenza delle autorità cittadine la mostra
Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso, visitabile fino al 16 febbraio 2025 a Palazzo Diamanti, seconda tappa di una più ampia e ambiziosa indagine del tessuto culturale e artistico intitolata
Rinascimento a Ferrara 1471-1598: da Borso ad Alfonso II d’Este, vale a dire la stagione compresa tra l’elevazione della città a ducato e il suo passaggio dalla dinastia estense al diretto controllo dello Stato Pontificio.
Naturale prosecuzione di Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa tenutasi a Palazzo dei Diamanti nel 2023, l’esposizione ripercorre le vicende artistiche del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso I (1505) fino alla morte di quest’ultimo (1534), committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte come quelli pubblici della città. La scomparsa della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti lascia Ferrara alle prese con la difficile sfida di un ricambio di alto livello. Nel 1496 la scelta di ingaggiare Boccaccio Boccaccino indica la volontà di adottare un linguaggio più moderno, addolcito e morbido. All’inizio del nuovo secolo si sviluppa così una nuova scuola, meno endemica e più aperta agli scambi con altri centri, che ha come protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano, Benvenuto Tisi detto Garofalo e Giovanni Luteri detto Dosso.
“Finalmente – sono le prole del sindaco di Ferrara, Alan Fabbri – in quello che è senza timor di smentita uno dei più celebri edifici dell’Italia settentrionale e il simbolo dell’architettura rinascimentale della nostra città, torna a risplendere l’arte antica. Per quattro mesi, i capolavori di Mazzolino, Ortolano, Garofalo e Dosso – e non solo, come si vede sfogliando questo splendido catalogo – vi incanteranno, documentando una stagione incredibilmente ricca, dove l’antico e il moderno, il sacro e il profano, la storia e la fiaba si fondono in un mondo figurativo che può definirsi, in una parola, ferrarese. Sarà una “riunione”, credo, irripetibile, perché le opere giungono – e molte per prima volta – da alcuni dei più importanti musei italiani, europei e americani: limitandoci a questi ultimi sono orgoglioso di ricordare almeno il Musée du Louvre di Parigi, la Gemäldegalerie di Dresda, il Fitzwilliam Museum di Cambridge, il Philadelphia Museum of Art, lo Städel Museum di Francoforte, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la National Gallery of Art di Washington. Questa partecipazione dimostra la bontà del progetto, che si è concretizzato grazie allo straordinario lavoro della Fondazione Ferrara Arte e del Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, organizzatori della mostra patrocinata dal Ministero della Cultura e con il contributo della Regione Emilia-Romagna e che si avvale della collaborazione della Direzione Generale Musei e del sostegno della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. Stima e gratitudine vanno ai curatori Vittorio Sgarbi e Michele Danieli e al direttore Pietro Di Natale per il progetto culturale che hanno ideato. Mostre di questa portata sono una sfida. Una sfida impegnativa, ma necessaria, perché ha come obbiettivo primario la promozione e la valorizzazione della gloriosa storia artistica e culturale della nostra città”.
“Una grande soddisfazione per la nostra amministrazione – ha aggiunto l’assessore alla Cultura Marco Gulinelli – che, grazie alla Fondazione Ferrara Arte e al Servizio Musei d’Arte, ha negli scorsi anni promosso un virtuoso e necessario progetto di riscoperta di grandi maestri ferraresi come Gaetano Previati, Giovanni Battista Crema, Arrigo Minerbi e Achille Funi attraverso antologiche che hanno avuto il merito di valorizzare il patrimonio delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara”.
Mentre Garofalo e Dosso sono noti al pubblico e il loro percorso è stato approfondito in maniera organica in diverse occasioni espositive, per Mazzolino e Ortolano si tratta di un debutto assoluto, e quanto mai necessario per illustrare compiutamente e comprendere meglio il variegato panorama della pittura ferrarese dei primi decenni del XVI secolo.
I due maestri percorrono strade piuttosto diverse: Ludovico Mazzolino (Ferrara, c. 1480 – 1528), formatosi sui modelli di Ercole de’ Roberti e del primo Lorenzo Costa, orienta il suo linguaggio in senso anticlassico, guardando alla pittura e alle incisioni tedesche, da Martin Schongauer ad Albrecht Dürer. Nonostante dimostri di conoscere Boccaccino e la pittura veneziana, come anche Raffaello e la cultura antica, la sua arte è sempre animata da accenti visionari e da una vitalità rumorosa che lo pone a buon diritto tra gli “eccentrici” attivi nell’Italia settentrionale. Si specializza in quadri d’impeccabile fattura destinati al collezionismo privato raffiguranti scene gremite di personaggi dai tratti fisionomici caricati, quasi grotteschi, del tutto insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicati da Perugino e dai suoi seguaci.
L’estro bizzarro di Mazzolino spicca con evidenza ancora maggiore quando lo si confronta con l’atteggiamento di Giovanni Battista Benvenuti detto Ortolano (Ferrara, c. 1487 – post 1527), caratterizzato invece da un naturalismo convinto e sincero. Dopo l’esordio influenzato dai modi dolci di Boccaccino, Costa e Francesco Francia, Ortolano si orienta dapprima verso la cultura veneziana di Giorgione per poi avvicinarsi alle novità proposte da Raffaello. Accanto alle grandi pale d’altare eseguite nel terzo decennio, veri e propri capolavori connotati da un «classicismo […] naturalizzato per via del lume illusionistico» (Longhi), produce numerosi quadri destinati alla devozione privata dove l’ispirazione raffaellesca si accende di suggestioni venete, evidenti soprattutto nella resa del paesaggio. Impossibile non rimanere incantati dalla spontaneità con cui l’artista si approccia alla realtà: una luce chiara isola i personaggi e indugia silenziosa sugli oggetti; nella (apparente) semplicità delle composizioni si avverte il senso dell’arcano.
Tra i riferimenti di Ortolano figura certamente Benvenuto Tisi detto Garofalo (Ferrara, 1481 – 1559). Formatosi presso Domenico Panetti e Boccaccino, dimostra fin da giovane una grande intelligenza figurativa che gli consente di misurarsi tempestivamente con tutte le novità che andavano affiorando nei maggiori centri della penisola. Durante il primo decennio del Cinquecento si accosta alla pittura veneziana e a Giorgione, per poi spostare il baricentro dei propri interessi verso l’Italia centrale. Nel corso della sua lunga carriera, Garofalo è il principale interprete e divulgatore ferrarese dello stile di Raffaello, di cui comprende perfettamente la portata e di cui segue lo svolgimento con diligenza. Le sue pale d’altare, dalla maniera pacata ed elegante, popolano le chiese cittadine, mentre i preziosi dipinti da cavalletto sono presenti in gran numero nelle collezioni private.
Parallelamente a Garofalo si muove Giovanni Luteri detto Dosso (Tramuschio?, c. 1487 – Ferrara, 1542), uno degli artisti di punta della corte di Ferrara sotto i governi di Alfonso I e di Ercole II. Nato nel piccolo ducato di Mirandola, esordisce a Mantova e nel 1513 si trasferisce a Ferrara dove lavora, insieme a Garofalo, al celebre polittico Costabili nella chiesa di Sant’Andrea (oggi nella Pinacoteca Nazionale). Durante la giovinezza la sua pittura risente dell’influenza di Giorgione e Tiziano, dai quali trae una magnifica profondità di colore e una luce tutta veneziana. All’epoca della sua prima opera sicuramente datata, la spettacolare Madonna col Bambino e i santi per il duomo di Modena (1518-21), è già avvenuto un contatto con Michelangelo e la cultura romana: da qui in poi Dosso sviluppa uno stile personale, colto e divertito, grazie anche a una particolare sintonia con Alfonso I. Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso è padrone del campo delle imprese ducali, in cui affronta temi allegorici e mitologici, desunti spesso dall’Ariosto.
La scena della pittura cittadina non sarebbe infine completa senza le opere di Domenico Panetti, Boccaccio Boccaccino, Lazzaro Grimaldi, Niccolò Pisano, il Maestro dei dodici Apostoli: grazie al contributo di questi maestri, presenti assieme ad altri (Fra Bartolomeo, Romanino, Amico Aspertini, Albrecht Dürer) nel percorso espositivo, che avrà una naturale estensione nelle sale della Pinacoteca Nazionale al piano nobile di Palazzo dei Diamanti, la mostra accompagna il visitatore attraverso una stagione incredibilmente ricca, dove l’antico e il moderno, il sacro e il profano, la storia e la fiaba si fondono in un mondo figurativo che può definirsi, in una parola, ferrarese.