“Un atto umiliante e, nella sostanza, del tutto simile ad un femminicidio”. Non usa mezzi termini il noto medico e scienziato ferrarese Paolo Zamboni, noto a livello mondiale per le sue ricerche sulla correlazione tra Ccsvi e sclerosi multipla, nel commentare sulla sua pagina Facebook il caso della pugile algerina intersessuale Imane Khelif.
Un commento che sembra porsi dalla parte della pugile italiana Angela Carini, ritiratasi dopo pochi secondi per aver sentito “molto male” durante l’incontro con l’algerina, ma soprattutto contro il comitato olimpico. Secondo Zamboni, infatti, “quando per il timore di non essere inclusivi si diventa estromissivi nei confronti delle donne si ottiene solo di attaccare al petto dell’atleta Algerina una medaglia priva di ogni significato olimpico. E che equivale ad avere concesso un atto umiliante e, nella sostanza, del tutto simile ad un femminicidio”.
Le sue considerazioni non sono passate inosservate al popolo del web e non solo, in prima battuta per una ‘gaffe’ che da un medico del suo calibro non ci si aspetterebbe, l’aver cioè definito la pugile algerina ‘transgender’, errore che diversi commentatori gli hanno fatto notare inducendolo poi a modificare il suo post. Ma soprattutto perché il tema, che sta facendo discutere mezzo mondo, è alquanto delicato e nello stesso tempo capace di stimolare opinioni discordanti. E discordanti sono state infatti le reazioni al commento del professor Zamboni: c’è chi si è schierato apertamente con lui, aggiungendo particolari sui “vantaggi competitivi” della Khelif per via del suo iperandrogenismo femminile che determina una eccessiva produzione di ormoni maschili donandole quindi una forza maggiore (qualcuno ha fatto notare che nel 2023 International Boxing Association (IBA) ha squalificato Khelif perché aveva “vantaggi competitivi” che non le consentivano di competere con le donne), c’è chi invece ha dissentito parlando di regole e regolamenti che sono stati rispettati e di “brutta figura” dell’atleta italiana.
Sulla correzione del termine “transgender” e in merito alle argomentazioni di chi ha dissentito citando i regolamenti, Zamboni ha replicato sostenendo che il suo errore “non cambia il significato di ciò che volevo manifestare”, ovvero che “questo caso indica il paradosso dell’inclusività a tutti i costi per ogni tipo di ruolo, che in questo caso arriva fino ad essere lesivo ed escludente per le donne. Io non sono animato da nessuna strumentalizzazione politica. Io credo che questo paradosso debba stimolare una riflessione per una rilettura ed una riformulazione dei regolamenti sportivi. Specialmente per sport con contatti potenzialmente pericolosi”.
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