“Non ci serve il biometano ed è sbagliato andare su quella strada”. Questo perché “siamo sempre nell’economia del fossile” mentre “sì deve andare verso le energie rinnovabili”. Una sintesi di Corrado Oddi che affiancato da Sandra Travagli, Giangaetano Pinnavaia, Cleante Ravani e Mario Cattabriga presenta un documento dei comitati provinciali No Biogas che “ha la finalità di esprimere una serie di considerazioni teoriche su che cos’è questa energia”.
Un documento corposo dove si ripercorrono storia e dati sia a livello nazionale che locale per poi arrivare a 12 richieste che si potrebbero riassumere con la parola “pianificazione”. “Varrebbe la pena – dice Travagli – approfondire un ragionamento di sostenibilità di queste forme di energia”. Anche perché, aggiunge e ricorda Pinnavaia, “si parla di gas”, il fatto che ci sia il suffisso bio non altera la forma della molecola mantenendo un importante “potere climalterante”.
Chiedono programmazione e non è un caso che si siano messi insieme come singoli comitati dei vari territori toccati. “Non si riesce a capire – spiega Travagli – come viene deciso dove fare gli impianti da parte di chi governa i territori”. Inoltre, aggiunge Oddi, si parla di un sistema che “ha un rendimento energetico molto basso”. Come spiega anche il documento promosso oltre allo stesso Oddi, “il biometano ha un indice Eroi (misura il rapporto tra energia realizzata e consumata, ndr) che varia, a seconda delle fonti, tra 1,4 e 2,5 a differenza del fotovoltaico che ha un indice di 7 e dell’eolico di 5″. “La soglia considerata utile per la sostenibilità economica è pari a 3” scrive invece Adele Pazzi in un articolo pubblicato nel 2023 per Centro ricerche documentazione e studi di Ferrara.
I rappresentanti dei comitati fanno inoltre notare che si tratta di “impianti che godono di finanziamenti molto forti e si sostengono grazie a questo”. Parlano di 1,7 miliardi dal Pnrr, sarebbe quindi importante capire la ratio dei finanziamenti che ottengono. Chiedono quindi di “fermare i nuovi impianti nella provincia finché non si riesce ad avere un’attività di programmazione e pianificazioni di queste strutture”. Anche perché “le centrali che si fanno ora sono centrali che avremmo sul groppone per una trentina di anni. Poi quando finiranno i fondi rimarranno cattedrali nel deserto”.
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