Attualità
3 Marzo 2024
Presentato alla Libraccio il nuovo libro di Alessandro Somma. “Occorre una redistribuzione della ricchezza”

Abolire il lavoro povero. “Non basta scrivere i diritti sulla Costituzione”

di Redazione | 3 min

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“Abolire il lavoro povero”. Già nel titolo, il nuovo libro di Alessandro Somma contiene al suo interno un provocatorio ossimoro, perché il lavoro, per definizione, dovrebbe essere tutto fuorché povero; eppure, mai come in questo periodo storico un paradosso del genere è stato amaramente attuale.

Non è un caso che giovedì pomeriggio la sala della Libraccio a Palazzo San Crispino fosse gremita già prima dell’arrivo dell’autore, né che il pubblico sia rimasto fino all’ultimo minuto disponibile per ascoltare quello che si è trasformato in un vero e proprio dibattito fra i relatori, il pubblico e l’autore.

Sul come si sia arrivati alla deriva del lavoro, che non garantisce più un salario dignitoso né sicuro, un welfare o una condizione che non condanni alla vulnerabilità, Somma è molto chiaro: “È stato disintegrato il conflitto sociale, quello che si è sviluppato negli anni Sessanta e Settanta, in cui l’interlocutore che si faceva portavoce di questo conflitto era un personaggio politico. In mano alla politica, questo conflitto poteva essere uno strumento per pensare ed attuare meccanismi di redistribuzione della ricchezza. Ma adesso il lavoro è diventato una merce qualsiasi: non basta scrivere i diritti sulla Costituzione, perché per far vivere ciò che c’è scritto sulla carta occorre tornare a quello strumento lì”.

Infatti, come contestualizza il direttore di Estense.com Marco Zavagli, “dopo la depenalizzazione dello sciopero non contrattuale, che veniva per l’appunto punito dal Codice penale, si è assistito alla nascita dello sciopero politico”; il ritorno della politica sul tavolo della discussione è dunque secondo l’autore fondamentale, dopo anni in cui si è mostrata succube nei confronti dell’economia, ha mortificato i lavoratori e colpevolizzato i poveri.

E il Reddito di Cittadinanza “è stato un tentativo in questa direzione, seppur difettoso sotto molti aspetti”: ma nella società in cui vige la retorica della fannullaggine, “il problema diventa chi rifiuta un lavoro sottopagato preferendo il reddito di cittadinanza, e lo si addita erroneamente come appartenente alla combriccola degli indolenti che non vogliono fare nulla, e che prediligono il divano”.

Un tema su cui si trova d’accordo anche Giovanni Verla di Fiom – Cgil Emilia Romagna, perché “il tema salariale, del lavoro, dei diritti, fa parte di quella consapevolezza del vivere la cittadinanza, che influenza inevitabilmente la libertà del cittadino nel partecipare attivamente alla vita politica della sua città e del suo paese”.

Al confronto sulle logiche europeiste, invece, con cui la docente Laura Calafà ha solleticato un disaccordo circa alcune argomentazioni del libro, Somma non si sottrae: “Il sindacalismo europeo esiste poco, perché alla fine ognuno guarda ai propri interessi secondo la logica della ‘mors tua, vita mea’. È sbagliato pensare che l’UE stia al guado. Si diceva che avremmo avuto una moneta unica quando ci sarebbero state anche logiche fiscali comuni” afferma l’autore senza celare i riferimenti a Jacques Delors.

“Io non sono nazionalista, ma nemmeno sovranazionalista (cioè europeista), perché per me questi non sono dei fini, ma degli strumenti: dobbiamo capire se ciò in cui crediamo si riesce a raggiungere di più in una dimensione nazionale o sovranazionale, e in questo momento la seconda non è pensabile, perché per attuare meccanismi redistributivi della ricchezza, ci vuole il demos, il popolo. Senza meccanismi solidaristici non ci può essere nemmeno la redistribuzione”.

Passando poi alla questione femminista e discriminatoria sul lavoro, Somma allarga il raggio: “Il riconoscimento dell’identità non può essere a senso unico. Discriminare significa anche chiedere a una persona se ha il lavoro fisso per concedere un mutuo. L’Unione Europea in questo caso impone alla banca di discriminare, perché altrimenti si prestano soldi a una persona che potrebbe non riuscire a restituirli”

Il lavoro povero dunque non è solo economico, ma anche precario, e fa parte dello stesso quadro che l’autore dipinge sotto la cornice del neoliberalismo: “lo stesso che ha portato alla cancellazione della politica, e che lascia soli gli individui di fronte al mercato”.

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