Finita la cerimonia il figlio annuncia l’ascolto, “per l’ultima volta” di “alcuni brani di Roberto dalla sua voce”. Brani in cui l’autore riflette sulla società, su Ferrara, sulla vita e sulla morte.
Gulinelli lo ricorda come “una persona speciale che ha lascito un segno indelebile nel mondo della letteratura e nel nostro cuore” mentre la scrittrice e amica di Pazzi Roberta Capossele: “Come scrittore è già consegnato alla posterità”. “Noi oggi – continua – lo onoriamo e lo ricordiamo come amico prediletto”.
A ricordarlo – “a modo mio” – anche l’allievo, amico e scrittore Matteo Bianchi. “Non c’è mattino – dice -, quando salgo in auto per andare al lavoro in un centro commerciale, ogni volta che la manutenzione meccanica dell’ordinario stringe ai fianchi, che non mi rimbombi in testa il monito di Roberto: la scrittura necessita di un tempo esclusivo, di una solitudine feconda per estraniarsi dalla realtà, persino dal presente, per poi riappropriarsene interamente”.
“L’atto della scrittura – ricorda Bianchi -, l’atto creativo della parola che s’invera su un foglio ‘innocente’, lo faceva sentire quasi in estasi, padrone del suo tempo da una finestra imprevista sul retro del mondo. Non a caso, in versi quanto in prosa ha prevalso in lui la prima persona singolare, la voce totalizzante con cui il suo amato Proust ha concepito la Recherche”.
“Ho avuto il privilegio – prosegue – di conoscere un Roberto che si era già riappacificato con una società ipocrita e con l’uso esclusivista che viene perpetrato del potere e del privilegio. Un Roberto che mi ha insegnato quanto non valesse la pena alimentare il rancore, poiché avrebbe avvelenato il ricordo del mio vissuto nel futuro, quando ruoli e contesti svaniscono, e restiamo con noi stessi e il riflesso concessoci dagli altri”.
“Giusto due giorni prima di lasciarci – conclude -, in un istante assopito di lucidità mi sussurrò che ‘l’assoluto è negli altri’”.