“Non fare una questione politica di un femminicidio”, mi ha detto.
“Invece sì” le ho risposto.
Ognuno di noi si chiede come sia possibile che uno studente di poco più di vent’anni, si determini a fare una cosa tanto orribile come quella che ha fatto Filippo.
Ma il femminicidio non è causato da una catena più o meno casuale di eventi imprevedibili, è il frutto di una decisione.
Ma perché accade così spesso che un uomo decida di uccidere una donna? Che tipo di personalità hanno gli uomini di questo nostro tempo?
La personalità che il soggetto sviluppa, è il risultato del suo peculiare processo di crescita, un processo che viene plasmato sia da aspetti genetici che da influenze esercitate dall’ambiente che lo circonda; la società.
Ogni essere umano mette in scena se stesso nel teatro del mondo cercando un equilibrio tra queste due polarità: i limiti e le risorse della sua personalità, e il suo indispensabile adattamento al contesto sociale, che avviene tramite l’interiorizzazione dei valori che la cultura di appartenenza trasmette a ogni membro del corpo sociale.
L’ecatombe quotidiana di donne uccise in quanto donne indica in modo certo che il fenomeno ha una natura marcatamente sociale: è evidente che la nostra cultura e il nostro modo di vivere le relazioni, producono femminicidi.
E non abbiamo ancora capito come arginare questa strage.
L’aumento delle pene edittali è inutile perché la forza dissuasiva di una pena, per una persona che spesso si suicida subito dopo o attende la polizia per essere portato in carcere, è pari a zero.
I braccialetti e divieti di avvicinamento hanno senso sino a quando l’uomo non decide di uccidere, dopodiché sono pressoché inutili.
La verità, scomoda da dire, è che laddove un uomo si radica nella volontà di uccidere una donna, quasi sempre lo fa senza impedimenti.
Ne consegue che l’unica vera soluzione è creare cause e condizioni per cui la volontà di uccidere non si formi nella mente degli uomini.
Ma perché un uomo decide di uccidere la donna a cui è legato? (eviterei la parola amore).
Perché per molti motivi è incapace di reggere la separazione. La separazione, viene letteralmente vissuta come la fine della propria esistenza, ma è nella rabbia verso la donna che vanno cercate le motivazioni autentiche di questi gesti.
Non solo l’uomo non ha gli strumenti per gestire le proprie emozioni depressive e distruttive, questo potrebbe indurre l’uomo ad autolesionistici. No, il punto è che l’uomo imputa alla donna una colpa senza rimedio, che è non essere come dovrebbe essere. Questa secondo me è la chiave di comprensione del femminicidio.
Dal punto di vista maschile la donna ha violato le regole ed è per questo che merita una punizione esemplare. Ed è compito suo punirla.
A ben vedere, sia l’incompetenza nella gestione delle proprie emozioni sia l’idea che la donna debba essere punita per aver violato le regole, non sono altro che i pilastri culturali del caro vecchio patriarcato. Uomini duri e dominanti e donne docili e sottomesse.
I femminicidi sono quindi gli spasmi violenti del patriarcato in agonia. Essendo un sistema ontologicamente violento e repressivo, il patriarcato muore come ha vissuto. Difficile dire quanto durerà questa agonia, specie perché c’è un malcelato desiderio di rivederne i fasti da parte di una parte delle forze politiche.
La compressione dei diritti delle minoranze, la discriminazione di ciò che non viene ritenuto decente e “tradizionale”, la marcata ostilità alle nuove forme di identità sessuale, gli ammiccamenti verso la cultura misogina che tratta la donna come un oggetto di piacere sessuale, le sperequazioni economiche di genere, sono le incudini dove si continua a forgiare la lama che ogni giorno trafigge il cuore di una donna.
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